Andrea Peron & Umberto Poli, noi più forti del diabete

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Andrea Peron (Bettiniphoto)

di Carlo Malvestio

Nello sport professionistico non esiste un caso analogo a quello del Team Novo Nordisk del ciclismo: una squadra riservata esclusivamente ad atleti diabetici. Ecco quindi che gli atleti della formazione americana non sono semplici ciclisti professionisti, ma i mittenti di un importante messaggio: anche col diabete si possono raggiungere i massimi livelli di uno sport, non bisogna la­sciarsi abbattere ma guardare sempre avanti con fiducia.

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Tra gli atleti del team ci sono anche due italiani, Andrea Peron e Umberto Poli, di 32 e 24 anni rispettivamente. Due veneti, il primo di Campodarsego (Padova) e il secondo di Bovolone (Ve­rona), alla nona e quinta stagione da professionisti con la maglia della No­vo Nordisk. Entrambi convivono col diabete di tipo 1 da quando sono adolescenti, Peron lo ha scoperto che aveva 15 anni, Poli 16, ed entrambi sono stati investiti da una cosa che pri­ma a malapena conoscevano.

«Ho reagito bene, non mi hanno mai detto di mollare il ciclismo. Non sono mai stato uno che si piange addosso, è così e basta, bisogna accettarlo» dice Andrea. D’altronde, per incassare il colpo e proporsi ai massimi livelli di uno sport durissimo come il ciclismo ci vogliono testa e cuore: «Col carattere che ho, sono riuscito a digerire la nuo­va situazione abbastanza velocemente, noi italiani siamo noti per avere la testa dura. Ho conosciuto un mondo nuovo, fatto di tante belle persone che mi por­to nel cuore. Non sono mancati i commenti poco piacevoli, ma sono stato felice di poter smentire chi non credeva in me. Poi, chiaramente, i periodi in cui sei scoraggiato ci sono, ma questa ma­lattia mi ha dato una forza mentale che altrimenti non avrei avuto» ammette serenamente Umberto.

Il 2021 è un anno particolarmente simbolico per loro perché è il centenario dalla scoperta dell’insulina, compagna di viaggio di tutti i giorni per chi soffre di diabete mellito. I ragazzi della Novo Nordisk sono autorizzati a prenderla anche in gara se ce ne fosse bisogno, hanno sempre con loro un misuratore glicemico, anche se con l’esperienza intuiscono i loro valori senza dover guardare il misuratore, e molto dipende anche dallo stato emotivo.

«Cento anni fa un ragazzo moriva per il diabete, era una malattia quasi sconosciuta per la quale non c’erano cure, oggi ci si convive abbastanza tranquillamente con tutti gli strumenti e applicazioni per il controllo glicemico – ri­cor­da Poli -. Ormai con il telefono te­niamo sott’occhio tutti i dati. Poi le si­ringhe assomigliano a delle penne e non c’è più bisogno di portarsi dietro le fialette. In 100 anni c’è stata un’evoluzione gigantesca. Speriamo che col passare degli anni si migliori ancora; noi, nel nostro piccolo, vogliamo infondere fiducia a chi pensa di essere limitato con questa malattia. Siamo la di­mostrazione che le cose si possono fare in ogni caso, anche al massimo livello. Sempre credere in ciò che si fa!».

«Si va alle corse per cercare di portare a casa il miglior risultato possibile e ogni tanto ci si dimentica del fatto che stiamo portando un messaggio importante – dice invece Peron -. Però quando vedi mamme o bambini che ti aspettano fuori dal bus per un consiglio o un suggerimento, scoraggiati dalla si­tuazione che stanno vivendo, allora ti ri­cordi che non stai solamente gareggiando ma che sei un modello per tanti ragazzi con il tuo stesso problema».

CACCIA ALLA VITTORIA
In mezzo al gruppo, però, sono uguali a tutti i loro colleghi: per fare una volata devono sgomitare e per centrare una fuga sudare sette camicie. «Io mi sento privilegiato ad essere professionista, fare della tua passione il proprio lavoro non è una cosa assolutamente scontata» spiega il corridore padovano.

Poli, invece, se deve scegliere l’aspetto più bello del suo lavoro, opta per quello che altri definirebbero il più pesante: «Con questo sport ho scoperto la bellezza del viaggio: spostamenti continui, in macchina, in aereo o altro, essere lontani da casa, scoprire posti e culture nuove, condividere coi compagni di squadra, a me tutto ciò piace un sac­co. La trasferta più bella? Ricordo con piacere quella negli Stati Uniti per Tour of Utah e Colorado Classic, tra ritiri e gare sono stato via un mese e mezzo, e in più avevo un’ottima condizione che è sempre una variabile im­portante».

Per Peron la trasferta più bella è quella al Giro di California del 2019, dove ha centrato la prima Top 10 in una corsa WorldTour in mezzo ai migliori sprinter del mondo, che molto più spesso «vedeva in televisione». I due veneti hanno un carattere abbastanza diverso, Poli è più sognatore, Peron più pragmatico, ma entrambi hanno lo stesso obiettivo per quest’anno: la prima vittoria da professionisti.

«Sono abbastanza soddisfatto della mia carriera fin qui, ho accumulato una buona esperienza – racconta Peron -. Mi ero posto l’obiettivo di centrare qualche podio e ce l’ho fatta, di centrare qualche Top 10 in corse WorldTour e ce l’ho fatta. Ora mancherebbe una vittoria. Da dilettante vincevo gli sprint di gruppo, ora so di non poter competere in termini di potenza coi grandi velocisti, ma se c’è un terreno dove pos­so sperare di alzare le braccia al cielo è sicuramente quello degli sprint».

Poli invece non vuole porsi limiti: «Beh se si può sognare dico che mi piacerebbe vincere la Milano-Sanremo – ammette -. Però la mia vera corsa dei sogni è la Parigi-Roubaix, spero un giorno che la squadra possa essere invitata, almeno per provare l’ebbrezza di correrla. Non ho mai vinto e quest’anno mi piacerebbe provare a giocarmi qualche chance. Anche qualche piazzamento andrebbe bene, ma lottare per alzare le braccia al cielo ha un altro sapore. Come mi immagino la mia prima vittoria? In solitaria, o magari con una volata a gruppo ristretto dopo una bella selezione».

APPUNTAMENTO SANREMO
La cancellazione di alcune gare a febbraio li ha costretti a rimandare l’esordio stagionale, slittato al Trofeo Laigueglia il 3 marzo scorso. Sia Peron che Poli sono rimasti quindi tanto in Italia nella prima parte di stagione, con l’obiettivo di non fare mai da comparse ma rendersi protagonisti con at­tacchi da lontano.

«A me è andata meglio così, con l’iniziare al Laigueglia visto che a dicembre ho avuto il covid in maniera abbastanza pesante e sono stato fermo per circa tre settimane – racconta ancora An­drea -. Mia moglie lavora a scuola e se l’è preso, poi l’abbiamo contratto anch’io e mio figlio, ma per fortuna non lo abbiamo attaccato ai nonni e ora stiamo tutti bene. Con questa situazione incerta di calendario ogni corsa andrà sfruttata, anche se magari non è propriamente adatta alle mie caratteristiche. Quindi spero di farmi vedere fin dalle prime gare, non necessariamente per giocarmi la vittoria ma quantomeno per mostrare che ci sono».

Ma è inutile girarci attorno, anche quest’anno il grande obiettivo era la Mi­lano-Sanremo, che hanno corso ininterrottamente dal 2015 al 2019, mancando l’invito solamente nel 2020. I due italiani la conoscono bene, perché sono stati spesso tra gli attaccanti di giornata: Poli ha centrato la fuga due volte, Pe­ron quest’anno ha fatto quattro, andando all’attacco con il compagno di squadra Charles Planet.

«Ogni fuga e ogni gara ha la sua storia, ma paradossalmente ho trovato più facile andare via in una corsa mitica come la Sanremo che in altre ga­re – spiega Poli – perché le squadre almeno nella par­te iniziale non vogliono dannarsi l’anima, risparmiando energie preziose per il finale, e lasciano andare i primi attaccanti. Poi quando sei davanti è prima di tutto una bella vetrina per la squadra e non si sa mai che prima o dopo arriviamo al traguardo».

Peron è d’accordo fino a un certo pun­to: «In realtà dipende, perché due volte sono riuscito a centrare la fuga solo do­po un’ora di bagarre, con scatti e controscatti. Stavolta è stato più semplice, ma il gruppo non ci ha mai lasciato troppo spazio e ci ha costretto a menare sempre. Ma è il bello della Sanremo».

Articolo a cura della redazione di Tuttobiciweb

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