Didattica a distanza: barriera per chi ha disabilità. La scuola chiamata a superarla

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VARESE – «I Dpcm parlano chiaro e dicono come ci si deve comportare in caso di didattica alternativa a quella in presenza con gli alunni in difficoltà. Il problema, quindi, non sta lì. Ma piuttosto nel fatto che, a livello territoriale, l’organizzazione viene delegata ai dirigenti scolastici, e spesso vengono adottate le soluzioni più comode per tutti, tranne però per chi ne ha veramente bisogno».

I casi che hanno portato alla luce la questione

Quanto è lontana la didattica a distanza dagli alunni con difficoltà intellettive? Tanto. E gli strumenti digitali, che per molti facilitano la vita, per i soggetti deboli diventano barriere insuperabili. A portare a galla una delle criticità della d.a.d. ai tempi del Covid, ovvero la difficoltà di seguire le lezioni a distanza degli alunni con disabilità intellettive, è stato il caso di Olgiate Olona. Raccontato da Andrea Gambini, il quale ha avuto la forza di non ridurlo a caso personale. Tanto che sulla questione interviene anche Cristina Finazzi, presidente dell’associazione Spazio Blu Autismo di Varese e portavoce del Comitato Uniti per l’Autismo, realtà che raggruppa 55 associazioni lombarde impegnate sul fronte.

Il caso di Olgiate Olona, risolto dopo alcuni giorni con l’intervento della dirigente scolastica, la quale ha rivisto orari e organizzazione delle lezioni non è certamente isolato. Ma, secondo Cristina Finazzi, non si dovrebbe nemmeno portare quale esempio da seguire un’altra situazione, che sempre nei giorni scorsi è stata raccontata sui media locali. Ovvero: classe in quarantena e lo studente con difficoltà in solitaria in aula.

No alle classi ghetto

«Tra assumere soluzioni che isolano il ragazzo con la dad e quelle che vanno a creare di fatto una classe speciale, ovvero con il solo alunno con difficoltà, c’è una terza via che ogni scuola dovrebbe seguire – spiega Cristina Finazzi – Le direttive sono chiarissime: anche per le classi in didattica a distanza le lezioni per chi ha difficoltà devono essere svolte in presenza. E non in solitaria, bensì con altri compagni che, per tutta una serie di motivi, possono frequentare».

Insomma, non è vietato organizzare “mini classi” che sappiano garantire il rispetto di tutte le norme igienico-sanitarie ma anche favorire al massimo l’inclusione. «Una bellissima parola, che però si fatica a tradurre nella realtà – spiega Finazzi – Organizzare classi ridotte non è semplice, ma si può fare. Il problema è che, avendo delegato ai singoli dirigenti d’istituto, il sistema scuola di fatto non affronta in maniera decisa e unanime la questione. Ognuno fa ciò che può e spesso passa l’organizzazione più semplice da adottare».

Finazzi non getta la croce addosso alle scuole – «Dovrebbero essere messe nelle condizioni di poter attuare le direttive del Dpcm» – ma chiede che tutto il sistema scolastico prenda consapevolezza che «accanto ai diritti delle insegnanti ci sono anche quelli degli studenti, dei quali a volte un po’ ci si dimentica».

Che fare dunque?

«Imparare da chi prima di noi ha messo in campo soluzioni in grado di gestire da un lato la diffusione del virus e dall’altro garantire la frequenza a scuola – continua Cristina Finazzi – penso ai Paesi dell’Estremo Oriente come Giappone, Taiwan o Corea del Sud. Qui il tracciamento parte proprio dalla scuola e permette subito di intervenire senza ricorrere alla chiusura. Gli strumenti che hanno loro li abbiamo, o potremmo averli anche noi».

Ma non solo: «Vincere la paura. Mettere in campo strumenti adeguati, che in questo caso sono test rapidi o screening di classe, significa rafforzare il concetto di sicurezza per gli alunni, ma anche per i docenti e per i genitori. E quindi ridurre la paura, che spesso porta a prendere soluzioni di garanzia per la salute, ma non per la crescita e la didattica». Insomma, l’assetto che tutti adottano, ovvero alunni in didattica a distanza e insegnanti non in aula a fare lezione, è certamente la soluzione che all’apparenza mette tutti al sicuro.

Ma solo all’apparenza, perché in questo modo la scuola, che dovrebbe includere, esclude: certo, una minoranza della popolazione in età scolare, ma quella più debole. «Per chi ha disturbi dell’attenzione, o problemi di carattere intellettivo, è praticamente impossibile seguire l’insegnante guardando un tablet o un computer. Questo comporta un danno enorme, che aggrava quelle che sono già le grandi difficoltà».

E per Cristina Finazzi il tempo per intervenire e mettere mano a una situazione diffusa c’è: «La scuola è ancora in tempo ad agire, ma occorre un’azione collegiale. Tutta la scuola è chiamata a rispondere per garantire il diritto allo studio di tutti i suoi alunni. Perché è vero, ci sono i diritti di chi insegna ma, non dimentichiamolo, anche di chi siede tra i banchi».

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