ELEZIONI AMERICANE 2020 L’ultimo scontro Biden-Trump prima del voto

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Come una lunga corsa a tappe, nella settimana che si è appena conclusa, i due candidati alla Casa Bianca hanno affrontato uno degli ultimi scogli prima della volata finale. Si vota martedì 3 novembre, e giovedì 22 ottobre Biden e Trump si sono sfidati, per l’ultima volta in tv davanti ad un pubblico stimato di circa 47 milioni di americani. Scontro più garbato, anche se non sono mancate accuse e invettive più o meno fondate, ma sicuramente i due rivali hanno consentito al popolo americano di farsi un’idea più chiara.

Il dibattito, Trump vince di misura

Secondo le prime impressioni, molti hanno giudicato positiva la prestazione di Donald Trump, tanto che molti analisti, anche vicini al campo democratico, hanno ammesso che abbia vinto, di misura, il confronto televisivo con il rivale Biden. Significa evidentemente che, sebbene non goda di buona stampa,  qualche punto è riuscito ad assestarlo.
Giovedì notte il dibattito ha affrontato innumerevoli temi, partendo ovviamente dal Covid per poi scendere nel dettaglio nelle scelte a sostegno di economia, politica estera con particolare riferimento ai rapporti con la Cina e la Corea del Nord e, in chiusura, si è parlato anche di ambiente, senza dimenticare i temi immigrazione e criminalità.
I due candidati, gestiti magistralmente dalla giornalista Kristen Welker, sono riusciti a mettere in fila alcuni ragionamenti, in un dibattito con ritmi veloci e serrati. Trump è partito un poco in sordina e stranamente pacato per poi attaccare duramente il rivale, nell’ultima mezz’ora, specialmente sui temi di immigrazione, ambiente e politica industriale americana. Tanto che si è spesso rivolto direttamente ai cittadini di Texas, Pennsylvania e North Carolina per metterli in guardia sulle politiche “socialiste” di un’eventuale presidenza Biden.
L’ex vicepresidente ha retto bene il dibattito ma è apparso un pochino appannato nella seconda metà, cadendo un paio di volte in alcuni tranelli costruiti ad arte dal tycoon. Anche l’immagine di un Biden che guarda l’orologio, come fosse segno di stanchezza, non è piaciuta molto agli analisti. In ogni caso questa performance di Trump, da loro giudicata positiva, non sarà sufficiente per ribaltare i sondaggi: sono in tanti a pensare che serviva qualcosa di più incisivo e, onestamente, Biden non ha commesso errori tali da compromettere il suo margine di vantaggio. Per lui l’unico vero scivolone della serata è stato sull’industria petrolifera che, secondo l’ex vicepresidente, deve essere superata. Affermazioni che Trump non ha mancato di rimarcare e semplificare, rivolgendosi direttamente agli elettori di Texas, Ohio e Pennsylvania dicendo «Biden vuole distruggere l’industria del petrolio».

L’ultima settimana

Quanto accaduto nell’ultima settimana merita una riflessione. Proprio martedì scorso è sceso in campo un pò a sorpresa l’ex presidente Obama, sempre defilato negli ultimi anni, tanto da rimanere neutrale durante le primarie dello scorso mese di gennaio. Ha tenuto discorsi in Pennsylvania, a dimostrazione evidente di una certa preoccupazione in casa democratica: tutti hanno il terrore che si possa verificare quanto già avvenuto nel 2016. Obama ha capito, forse meglio di altri, che i numeri dei sondaggi che girano sono tutt’altro che rassicuranti. Se infatti è vero che Biden gode di una maggioranza piuttosto ampia nei sondaggi relativi al voto popolare (7-8% di media), tutt’altro è il discorso negli Swing States.
Nei singoli Stati, il voto è spesso condizionato da dinamiche locali quali, per esempio, la gestione della pandemia da parte degli amministratori locali: scelte politiche e amministrative che sono fuori dalla portata del Governo Federale. Non va infatti dimenticato che, oltre alle presidenziali, si vota per seggi locali e nazionali quali Camera e Senato del Congresso e governatori dei singoli Stati.
È proprio su queste dinamiche locali che molti democratici temono di avere un deficit di voti ed è in questa chiave che deve essere riletto l’intervento di Obama a Philadelphia dove, per esempio, il sindaco democratico ha chiesto la rimozione della statua di Cristoforo Colombo, facendo arrabbiare, tra i tanti, anche la comunità italoamericana. Oppure una certa leggerezza dei democratici nel reprimere gli atti di violenza e criminalità nelle aree suburbane; si aggiunga un fattore che in pochi ricordano, cioè il totale disimpegno di Bernie Sanders, l’uomo della sinistra dem che, come nel 2016, non sta mobilitando il suo elettorato. La discesa di Barack Obama nell’agone politico di questi ultimi giorni di campagna elettorale va riletta nell’ottica di una preoccupazione crescente in campo democratico; che è sì conscio di essere in vantaggio, ma vede Trump rimanere pericolosamente in scia negli Swing States.

Il punto sui sondaggi

Se il dibattito di giovedì notte avrà spostato qualcosa, lo sapremo nei primi giorni della prossima settimana, quando verranno pubblicati i primi sondaggi post confronto tv. Un dato però è certo: sfogliando le decine e decine di analisi che ogni giorno vengono pubblicate emerge un generale assottigliamento del vantaggio di Biden negli Swing States. Noi di Elezioni Americane stiamo infatti registrando due tipologie di fenomeni.
Il primo riguarda quegli Stati che Trump vinse nel 2016 e che prima della pandemia non venivano messi in discussione, ma negli ultimi mesi sono finiti nella lista degli Stati in bilico: si tratta di Texas, Georgia, Iowa e Missouri. Lì Trump, rispetto a due settimana fa, sembra aver consolidato la sua posizione, e insieme a lui anche i candidati repubblicani per il Senato.
Il secondo fenomeno, decisivo per l’elezione del 3 novembre, è l’andamento dei veri e propri Swing States, quelli che in ogni elezione sono oscillanti e decisivi: Ohio, Pennsylvania, Florida, North Carolina, Michigan e Wisconsin. In questi Stati abbiamo registrato numeri importanti: alcuni sondaggi segnalano Trump avanti in Florida, Ohio e, seppur con stretto margine, anche in North Carolina. Se così fosse, gli basterebbe vincere in Pennsylvania; con questi dati sarebbe comunque a un passo dalla vittoria e riuscirebbe un capolavoro elettorale senza precedenti.
Merita infine di essere affrontata un’altra questione, riguardante alcuni Stati che potrebbero diventare il caso politico di queste elezioni americane: Minnesota, Arizona e Nevada.
Per i repubblicani perdere l’Arizona sarebbe certamente un tonfo clamoroso, e i sondaggi hanno visto sia Trump che McSally, candidata al Senato al posto del compianto John McCain, sempre dietro nei sondaggi fino a questa settimana, dove il primo sarebbe in leggero vantaggio e la seconda, dopo mesi a inseguire, si troverebbe addirittura a +3 sul candidato democratico.
Ragionamento analogo per il democratico Minnesota dove il candidato repubblicano Lewis per il seggio del Senato, dopo mesi di sondaggi che registravano uno svantaggio abissale, è ora appaiato con la senatrice dem uscente Tina Smith. Tanto che i sondaggi segnalano uno Stato spaccato in due: i dem sembrano resistere nelle sole aree metropolitane mentre i repubblicani dilagano nelle aree rurali.
C’è infine il Nevada, dove la partita sembra favorire Joe Biden ma Trump e il suo staff stanno investendo tempo e energie per ribaltare il voto del 2016.
Biden, che ha mantenuto un passo costante in questi mesi, resta avanti e forse il voto per posta sarà decisivo per la sua elezione. Hanno già votato oltre 40 milioni di americani ma Trump si prepara alla volata finale, dove ha già dimostrato di essere imbattibile.

Giacomo Iametti

Lo speciale Elezioni Americane 2020 ci accompagnerà fino al prossimo 3 novembre, giorno delle 59esime elezioni presidenziali nella storia degli Stati Uniti. Si tratta di un appuntamento settimanale a cura di Giacomo Iametti e Simone Cecere, creatori della pagina Instagram Elezioni Americane 2020 (CLICCA QUI per accedere), una striscia quotidiana di poco più di un minuto in cui, attraverso Stories, sondaggi, grafici e approfondimenti, viene raccontato tutto ciò che succede Oltreoceano nella corsa alla Casa Bianca.

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