Elly Schlein, le domande che aspettano risposte

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Nanni Moretti sarà soddisfatto: questa volta c’è davvero chi “ha detto una cosa di sinistra”. Sono gli elettori delle primarie del Partito democratico che, eleggendo Elly Schlein alla segreteria, hanno chiaramente invocato una svolta a sinistra. Più che una dichiarazione, un appello inequivocabile affinché il maggior gruppo d’opposizione decida di cambiare passo, ricollocandosi e spazzando via una certa politica politicante in cui si è (si sarebbe) incagliato il partito negli ultimi anni. Con effetti risaputi alle urne.

Il risultato della consultazione ai gazebo è sorprendente, non foss’altro perché smentisce pronostici e attese in favore di Stefano Bonaccini, premiato invece dagli iscritti nei circoli piddini. Una sicurezza, Bonaccini, per l’apparato di partito, così da garantire l’establishment e tutto ciò che rappresenta, a cominciare da una più tranquilla sopravvivenza nel sistema. Non sono pronunciate a caso le sue recenti, concilianti affermazioni nei confronti di Giorgia Meloni: “La premier non è fascista, è capace”.

Forse anche per questo, la Schlein vince e spariglia. E apre a domande sul futuro. Ad esempio, come la prenderanno i centristi del Pd, i cosiddetti governativi, per dirla più in chiaro? Resteranno al fianco di una segretaria che guarda alla sinistra sinistra, oppure traslocheranno verso lidi più consoni alle loro posizioni moderate e alla loro storia, ad esempio verso il Terzo Polo di Calenda e Renzi? Ancora: saranno sufficienti le garanzie che offre Elly Schlein ai più integralisti, quelli con radici comuniste che, sotto sotto, non hanno mai reciso;  li convincerà a restare nei ranghi e, per molti di loro, a ritornare alla casa madre? Una bella sfida. Un impegno gravoso. Una navigazione piena di ostacoli. Non c’è neanche il tempo di gioire: la neo segretaria è subito buttata nella mischia. Con gli avvertimenti che le arrivano dai sondaggi di queste ultime ore: il centrodestra sta letteralmente volando.

E allora, come impostare una rinnovata azione politica, così come richiesto dal popolo dei gazebo? Ma poi, chi sono le persone che l’hanno scelta, a quale area appartengono veramente? Che cosa sarà più efficace per aumentare il consenso? Basteranno le battaglie per i diritti individuali, obiettivi sacrosanti, però non capiti e voluti da tutti? O servirà invece altrettanta convinzione per parlare più diffusamente di lavoro, sanità, scuola, salari, ambiente, giustizia, burocrazia e tutto quanto attiene alla complessa e farraginosa quotidianità degli italiani, questioni prioritarie rispetto ad altre meno popolari inseguite dalla sinistra?

Dietro a Elly Schlein fa capolino una certa nomenclatura dem. Nomi noti, che l’hanno sostenuta nella corsa al vertice del partito, ma che non incarnano affatto il “nuovo che avanza”. Dario Franceschini in cima al gruppo, poi Andrea Orlando, Nicola Zingaretti, Francesco Boccia, Antonio Misiani e, via elencando. Sono loro che garantiranno il cambiamento? Soprattutto, a fronte del proclama programmatico della “loro” candidata: ora si cambia! Intendendo, tra l’altro, un’opposizione dura all’esecutivo Meloni (“Renderemo difficile la vita di questo governo”). Una linea riassunta da una frase che rifà il verso alla premier di Fratelli d’Italia e rivela il carattere della nuova segretaria del Pd: “Sono una donna, amo un’altra donna e non sono una madre. Ma non per questo sono meno donna”. In bocca al lupo.

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