Marantelli: «Il PD della Schlein deve combattere la povertà, non il benessere»

VARESE – «Abbiamo bisogno di un partito che combatta la povertà, non il benessere. E che sappia tenere insieme i diritti personali con i diritti sociali. Io non posso sapere cos’ha in testa Elly Schlein, però vorrei che il Pd diventasse un grande partito popolare». Sono queste le parole di Daniele Marantelli, un pezzo di storia della sinistra varesina (e italiana) che fin dall’inizio ha sostenuto Elly Schlein. «Un giorno – ha detto – quello di ieri (domenica 27 febbraio), di gioia ma anche di dolore perché sono scomparse due persone che mi hanno voluto bene, e alle quali ho voluto bene: Curzio Maltese e Pierfausto Vedani».

Daniele Marantelli, la vittoria di Elly Schlein è per lei una rivincita?
«La vittoria della Schlein è la conferma di quanto sostengo da tempo. Ovvero: una squadra di calcio o un’azienda non hanno futuro senza un ricambio di forze. Questo vale anche e soprattutto per un partito. Elly Schlein ha saputo riaccendere la speranza e conquistare i giovani. E io ho deciso di sostenere i giovani per restituire quanto ho ricevuto da chi mi ha cresciuto politicamente e umanamente».

Che PD sarà quello di Elly Schlein?
«Un Pd che non può rinunciare alla lotta contro le disuguaglianze e la precarietà, alle battaglie contro i cambiamenti climatici e alla difesa della pace. Un Pd, per dirla con una frase, che possa contribuire a cambiare il mondo».

Concetti radicali che abbondano nei ragionamenti senza trovare una declinazione concreta. Non c’è il rischio di un partito radical chic? Bello da ascoltare, ma distante da votare?
«La gente che è andata a votare alla primarie ha espresso un desiderio chiaro e inequivocabile. Vuole un partito che agisca seguendo una linea ben chiara. Le affermazione balbettanti di Letta e dello stesso Bonaccini in relazione al governo Meloni non sono più accettabili. Elly Schlein le ha spazzate via con una frase semplice e per questo disarmante: “Noi renderemo difficile la vita di questo governo”. Finalmente, aggiungo io. E poi vorrei aggiungere un’altra cosa».

Prego.
«Non possiamo non interrogarci sui motivi che ci hanno portato ad andare sotto il 20% per due volte consecutive e nemmeno sul perché abbiamo perso cinque milioni di elettori. Da qui dobbiamo anche ripartire per costruire un Pd sempre più forte e sempre più aperto».

E, con Schlein, ancor più a sinistra, non crede?
«Questa storia della ricollocazione politica del Pd è questione più da talk show. Che cos’è il centro? Forza Italia o Calenda? Boh. Io credo che ci sia bisogno di una grande forza popolare, di un partito che sappia interpretare la maggioranza del Paese. Oggi abbiamo la finanza che comanda, i tecnici che eseguono e i politici che rilasciano le interviste. Ecco, questa filiera va ribaltata. Non è una questione di riposizionamento. La politica torni a fare la politica».

Scusi, come?
«Due esempi, seppur semplificati. La guerra in Ucraina. Non è possibile che le decisioni le prenda il capo della Nato e non è nemmeno possibile che la sinistra europea si riunisca a tre mesi dall’inizio del conflitto e discuta dell’ingresso in Europa della Macedonia del Nord. Sull’Ucraina tutti zitti. E ancora, dov’eravamo quando è stato terremotato l’assetto societario della Whirlpool, una delle più importanti aziende del territorio?».

Eccoci al nocciolo, forse. Non teme quindi che con Elly Schlein i diritti personali abbiano il sopravvento sui diritti sociali?
«Il quesito è anche il tema cruciale. E’ evidente che bisogna tenere insieme diritti individuali e diritti sociali. Gli uni non hanno senso senza la garanzia degli altri, questa è la sfida del nuovo segretario. E non bisogna aver timore nel dare il giusto nome alle cose. Un laureato di venticinque anni che fa il pendolare a Milano per 700 euro al mese non è un lavoratore, ma un povero. Quindi abbiamo bisogno di un Pd che combatta la povertà, non il benessere».

Intanto però, a ogni giro elettorale, il centrosinistra paga dazio. Come mai?
«Elly Schlein ha stravinto in Lombardia e in tutto il Nord. Ma restiamo nella nostra regione. Qui le nostre radici sono: cultura del lavoro, piccola proprietà, iniziativa personale, solidarietà e autonomia. Finché non capiamo che tutto questo non ha niente di negativo, ma che occorre interpretarle, non vinceremo mai. O meglio, continueremo a vincere alle amministrative, ma nel momento in cui il voto diventa politico, e quello per la Regione Lombardia è un voto politico, continueremo a perdere. Ecco, io vorrei un Pd capace di vincere, anche in Lombardia».