Falsi restauratori con reddito di cittadinanza: un arresto a Samarate

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CAGLIARI – Si spacciavano come esperti restauratori, ma in realtà erano solo abili nell’estorcere denaro ai sacerdoti, mettendo a segno una serie di truffe in tutto il Nord e il Centro Italia. E tra le otto persone arrestate c’è anche un cittadino di Samarate.

La vasta operazione “Res ecclesiae” è stata messa a segno questa mattina dai Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale (TPC), che a seguito di approfondite indagini hanno eseguito un’ordinanza di applicazione di misure cautelari nei confronti di otto persone a Pravisdomini (PN), Fontanella (BG), Samarate (VA) e Labico (RM). Alcuni dei truffatori arrestati percepivano perfino il reddito di cittadinanza.

Base in Sardegna

L’organizzazione criminale, radicata nella zona di Oristano, restaurava abusivamente beni ecclesiastici commettendo truffe ed estorsioni a danno di sacerdoti e responsabili di istituti religiosi cattolici, sia in Sardegna che in altri luoghi della penisola. L’operazione è stata condotta in sinergia con i Comandi Provinciali dei Carabinieri di Pordenone, Bergamo, Varese, Brescia e Roma e con il supporto del 2° Nucleo Elicotteri di Orio al Serio. Tre persone sono attualmente in carcere, due agli arresti domiciliari e tre all’obbligo di dimora nel comune di residenza o domicilio.

Lunghe indagini

I Carabinieri del Nucleo TPC di Cagliari avviano l’indagine “Res Ecclesiae” nel dicembre 2017 a seguito di segnalazioni e denunce che porteranno a ricostruire un’attività illecita riconducibile a 13 protagonisti di etnia Rom, appartenenti a cinque famiglie discendenti dai medesimi capostipiti (Romanì). Le tre persone attualmente in carcere costituivano il vertice del gruppo criminale, sia partecipando attivamente alla commissione di alcuni reati, sia dando direttive sul modus operandi da adottare a seconda dei crimini da commettere, insieme a indicazioni sulla collocazione e sulla gestione dei proventi illeciti, che confluivano in un unico conto corrente.

Attraverso l’utilizzo di automezzi, schede e telefoni, falsa modulistica e persino di un locale dotato della strumentazione necessaria alla realizzazione di trattamenti galvanici, i “consociati” simulavano l’attività di una solida e strutturata azienda di restauro, perpetrando un numero indeterminato di delitti contro il patrimonio, truffe ed estorsioni.

Più di 100 episodi

Dal 2015 si sarebbero verificati oltre cento episodi, ricostruiti grazie a intercettazioni telefoniche e ambientali, riprese video, servizi di osservazione, controllo, pedinamento e accertamenti patrimoniali. Il modus operandi era ormai consolidato: accreditandosi come esperti restauratori attraverso l’utilizzo di modulistica creata ad hoc, di false referenze e talvolta di false identità, convincevano i religiosi a consegnare beni ecclesiastici, per lo più argenti, per effettuare interventi di ripulitura o restauro, concordando in un primo momento prezzi estremamente competitivi. Prima della riconsegna i malviventi richiedevano il pagamento di una somma molto più alta rispetto a quella pattuita, adducendo come scuse la sopravvenuta necessità di utilizzare grossi quantitativi d’oro (a volte facendosi consegnare gioielli ed ex voto al fine di fonderli per utilizzarne il metallo), quella di dover pagare manodopera aggiuntiva, ovvero sostenendo che il prezzo concordato fosse da intendere al pezzo e non per la totalità dei beni affidati.

Se i parroci esprimevano perplessità o si rifiutavano di pagare quanto richiesto, i falsi restauratori li minacciavano di non restituire i beni e di informare la Curia o la Soprintendenza del fatto che, senza le previste autorizzazioni, avevano consegnato per il restauro beni culturali tutelati.

Centinaia di migliaia di euro estorti

L’importo economico estorto è stato quantificato in diverse centinaia di migliaia di euro, a cui andrebbe sommato il valore dei pezzi mai restituiti, dei gioielli devozionali talvolta utilizzati dalle vittime a titolo di pagamento, degli interessi dei finanziamenti accesi dai parroci per poter far fronte alle indebite richieste di pagamento.

Grazie ai proventi dell’attività illecita e ad altri espedienti volti a evadere il fisco, a cui risultano di fatto sconosciuti, i malviventi riuscivano a condurre una vita molto agiata, acquistando abitazioni, terreni e autovetture di grossa cilindrata, nonché organizzando vacanze di lusso e festini a base di champagne.

In merito alla riconosciuta capacità finanziaria dei consociati, il G.I.P. scrive:

a fronte di una formale situazione di povertà estrema, che dipinge gli associati come sostanzialmente nullatenenti, il quadro emerso dalle indagini appare completamente diverso, e vede tutti gli indagati condurre una vita agiata e disporre di ingenti somme di denaro, da loro talvolta utilizzate anche per investimenti immobiliari (…) – e ancora – si è accertato che gli stessi sono assidui frequentatori di ristoranti e pizzerie, locali nei quali sono soliti spendere somme anche molto consistenti e comunque tengono un tenore di vita più che agiato.

Inoltre, gli accertamenti richiesti all’INPS hanno permesso di riscontrare che quattro dei destinatari della misura cautelare percepiscono il reddito di cittadinanza”.

I danni sui beni non restaurati

I funzionari storici dell’arte delle Soprintendenze Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Cagliari e di Sassari, nominati ausiliari di polizia giudiziaria, descrivono lo stato di conservazione di alcuni beni “restaurati” dall’organizzazione criminale: «tutti gli oggetti sottoposti a questi lavori non autorizzati non possono definirsi in uno stato di conservazione migliore rispetto al momento precedente l’intervento, ma anzi scontano i danni di operazioni invasive, inidonee, con un netto ed evidente peggioramento dei fenomeni di degrado” e “gran parte dei manufatti non hanno in nulla beneficiato dell’intervento; anzi, hanno in gran parte subito operazioni aggressive, invasive e scorrette sotto tutti i profili, che non hanno fatto altro che accelerare il loro processo di degrado e perdita di identità di bene culturale».

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