Niente ricovero per la pandemia, quando il Covid uccide indirettamente

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Il farmacista Stefano Ghini

MILANO – Un grande amore distrutto dalla pandemia, in maniera ingiusta e terribile. Diciassette anni, indimenticabili, insieme spezzati da una morte che è frutto della sfortuna ma anche della inadeguatezza del nostro sistema sanitario ad affrontare il covid. Quando il coronavirus uccide anche quando non uccide direttamente. E’ il caso di un farmacista di Rovigo, cardiopatico e diabetico, che non è stato possibile ricoverare, nella fase di massima emergenza del Covid-19 negli ospedali, al Centro cardiologico Monzino di Milano. La struttura di eccellenza lo ha chiamato appena possibile, ma ha scoperto che il paziente era morto nel frattempo. La triste storia è stata raccontata alla stampa dalla vedova, Cinzia Truppo, medico, e che ha seguito impotente la patologia del marito non potendo fare nulla per tentare di salvarlo.

“La sanità italiana è una eccellenza nel mondo, riusciamo a fare cose straordinarie ma non è organizzata bene l’ordinarietà: si dovrebbe potere essere curati anche in presenza di pandemie, ci si sarebbe dovuti organizzare per tempo”, dice lei che proprio in un ospedale lavora.  Il 29 gennaio scorso Stefano Ghisi 60 anni, nato a Bolzano da genitori di Ferrara ma praticamente veneto di adozione, viene ricoverato per uno scompenso cardiaco all’ospedale Santa Maria della Misericordia di Rovigo dove la moglie Cinzia Truppo, di 62 anni, di Aversa (Caserta), appunto si occupa del laboratorio di analisi ed è specializzata anche in Emergenza sanitaria. A metà febbraio viene dimesso: il professionista sta meglio, è stato ‘compensato’ e si spera bene.
La consorte però ritiene che comunque si debbano fare ulteriori approfondimenti perché qualcosa non la convince. Un primario del Monzino, un luminare, da cui Ghisi viene visitato il 5 marzo vuole ricoverarlo subito, “ma non può per il blocco stabilito dalla Regione Lombardia per i casi ordinari”, e quindi predispone di farlo alla prima data utile.

Il 18 maggio il dottor Ghisi viene chiamato, ma al telefono non può che rispondere la moglie. Lui purtroppo è morto per arresto cardiaco improvviso il 14 aprile. “Sarebbe stato necessario avere i Pronto Soccorso separati per covid e sale operatorie adeguate – si dispera la dottoressa Truppo -. Nessuno può sapere se mio marito sarebbe morto comunque, ma è certo che la sua patologia sarebbe stata scoperta e sarebbe stato ben curato. E’ uno dei tantissimi pazienti morti per colpa del virus, ma il nostro dovere è attrezzarci al meglio ed evitare che si possa morire  così”.

Purtroppo le rimangono solo dei dolci ricordi: “A chi gli chiedeva ‘Come vi siete conosciuti?’ Stefano rispondeva: ‘È uscita dal computer’, e sorrideva divertito. In effetti è stato proprio così. Ci siamo incontrati per un fortuito incrocio di mass media. Entrambi eravamo affezionati ascoltatori di una trasmissione radiofonica, che andava in onda ogni mattina alle 8 su Radio2: ‘Fabio e Fiamma’, una specie di sitcom radiofonica sui rapporti interpersonali, sui vizi e le virtù degli italiani e gli stereotipi sociali. Sui sentimenti e i rapporti di coppia. Collateralmente alla trasmissione avevano una mailing list dove gli ascoltatori si confrontavano sugli argomenti trattati in trasmissione. A questa mailing list partecipavano persone da tutta Italia più o meno giovani, tra cui anche io e Stefano”.

“Dopo un po’ di tempo i conduttori decisero di incontrare questo gruppo affezionato di ascoltatori a Roma ed organizzarono un raduno dove potersi conoscere di persona – focalizza pensando alla loro bella e piena vita Cinzia Truppo -.  Così ci incontrammo tutti e ci chiamavamo con i nickname usati nella mailing list. Così, Essanza, cioè io, conobbe Lospeziale , Stefano. A me piaceva già per le cose che scriveva e come le scriveva. Da quel raduno nacque un gruppo di amici fatto di persone provenienti da più parti d’Italia e di varia estrazione sociale che si  vedevano di tanto in tanto per ‘raduni’ culinar-culturali in giro per il Paese. Quindi l’occasione era una mostra alle Scuderie del Quirinale o il Busker Festival di Ferrara o la visita agli scavi di Pompei o Ercolano o il capodanno a Mongiovino in Umbria. E si passavano week end molto piacevoli. Dopo un anno di frequentazioni e dialoghi on line nel giugno 2003 ci mettemmo insieme ed iniziammo a programmare la nostra vita comune. Prima il mio trasferimento lavorativo a Rovigo nel gennaio del 2007 e poi il matrimonio il 15 settembre dello stesso anno”.

“E poi c’è stato un viaggio di nozze meraviglioso nel wild Est Canada, la ristrutturazione della casa e nel mezzo si frequentava il festival pucciniano a Torre del Lago in provincia di Lucca, si andava alla Fenice per concerti ed opere liriche, alla Scala,  al San Carlo, al festival di musica classica di Lucerna”: brandelli di memoria che rischiarano la voce a una donna che è stata felice e poteva esserlo ancora per tanti anni con il marito. Se il destino e un approccio sanitario non adeguato non avessero interrotto il loro viaggio.

Angela Bruno

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