Federico Rossi, un cardanese alla Nasa

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CARDANO AL CAMPO – Da Cardano al Campo a Pasadena, quartier generale del Jet Propulsion Laboratory della Nasa. Federico Rossi, trent’anni da compiere tra un mese, ha coronato il suo sogno. Lavorare all’agenzia governativa per le attività spaziali e aeronautiche degli Stati Uniti d’America. Il massimo per chi, sin da bambino, fantastica con il naso rivolto all’insù.

Inseguire un sogno

Da Cardano al Campo lo spazio gli sembrava troppo lontano. Ma l’esperienza in Francia, durante la laurea magistrale, la considera la svolta della sua carriera accademica, iniziata con la triennale al Politecnico di Milano e culminata con la tesi a Stanford, dove ci è rimasto con un dottorato per i successivi cinque anni. Ora è entrato alla Nasa come post doc («in Italia credo si chiami assegnista di ricerca»), un’opportunità che non si è lasciato sfuggire nonostante avesse offerte molto più remunerative. Specializzato nella robotica, ha ricevuto proposte lusinghiere soprattutto dal settore dell’automotive per sviluppare alcuni progetti legati alle auto a guida autonoma. «Mi offrivano il triplo di quanto guadagno ora», confessa. Ma davanti al bivio, non ci ha pensato nemmeno un secondo. Alla Nasa non si dice di no.

I robot nei crateri lunari

Federico Rossi al Jpl lavora sui sistemi robotici multiagente, ovvero su un nuovo modo di approcciare le missioni spaziali: «In questo momento su Marte ci sono due Rover Curiosity, robot fantastici ma anche costosissimi. Parliamo di una missione che costa un miliardo di dollari all’anno. Di conseguenza, la loro esplorazione su Marte deve avere un indice di rischio molto basso, non ci si può permettere di perdere tutto per una manovra azzardata. Se nello spazio mandassimo invece dieci robot anziché uno, magari meno performanti ma anche meno costosi, ecco che si potrebbero correre molti più rischi. Perderne uno, infatti, non inficerebbe l’esito della missione. Di questo, in sintesi mi occupo io». Nello specifico, i suoi Puffer (così si chiamano i piccoli robot esplorativi in fase di sviluppo nel gruppo di lavoro di cui fa parte l’ingegnere cardanese) potrebbero presto calarsi all’interno della cavità lunari, mai esplorate finora. «Al momento non siamo ancora una missione», spiega Rossi, ma potrebbero esserci sviluppi a breve.

Nostalgia dell’Italia

Federico Rossi non è il classico cervello in fuga che guarda l’Italia dall’alto in basso, criticando l’impossibilità di crescere per i giovani talenti. «Certo, gli Stati Uniti offrono opportunità di crescita enormi, il sogno americano ancora esiste. Qui puoi creare uno startup e fare un sacco di soldi in pochi anni. Ma c’è anche il rovescio della medaglia, ed è la mancanza di uno Stato sociale. In Italia, e in Europa più in generale, c’è un’organizzazione tale per cui nessuno resta eccessivamente indietro. Qui non esiste nulla di tutto ciò, basta girare tra le strade di San Francisco per rendersene conto». In California si trova bene, tanto che un anno fa lì ha sposato la sua compagna, conosciuta ai tempi dell’università a Milano. L’Italia, dice, su alcune cose gli manca, ma per chi vuole lavorare nello spazio “this must be the place”. «E’soprattutto una questione di fondi, non di qualità. L’ultima missione sviluppata dall’Agenzia Spaziale Europea, Rosetta, è stata di altissimo livello. Il problema è che in Europa missioni di questo tipo ne finanziano una ogni quindici anni, qui ogni quattro».

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