Dai Punkreas alle Poste. La nuova vita di Flaco, simbolo di una generazione

flaco punkreas poste italiane

CASSANO MAGNAGO – «Ma sei proprio tu? Venivo a tutti i vostri concerti. Eri il mio idolo». Non ci voleva credere lo sportellista di Poste Italiane di Cassano Magnago quando gli hanno presentato il suo nuovo collega. «Piacere, Fabrizio Castelli». E’Flaco, ex chitarrista dei Punkreas, la mente del gruppo punk-rock che ha avuto maggiore successo in Italia. Con una laurea in filosofia e centinaia di interviste mai banali alle spalle, in 26 anni di carriera il musicista di Busto Arsizio ha scritto circa la metà dei testi dei Punkreas. “Canapa” e “Cuore nero” sono soltanto alcuni dei brani diventati veri e propri inni generazionali per chi è cresciuto negli Anni Novanta.

Flaco, come ci sei finito a lavorare in Posta?

«Dopo l’addio ai Punkreas ho provato tanta amarezza, ma anche un senso di libertà che mi ha portato a scrivere “Coleotteri”, il mio primo album da solista. Rimango convinto che lì dentro ci sono alcune delle cose migliori che ho mai scritto, ma non c’era un pubblico pronto per ascoltarle. Perché noi affondiamo ancora inconsapevolmente le nostre radici nella seconda metà del Novecento, e oggi siamo in un’altra epoca».

La musica era finita, insomma.

«Ho ripreso in mano la mia vita e ho intrapreso la strada della consulenza filosofica. Si tratta però di un percorso lungo, nel frattempo passavano i mesi e sentivo che l’assenza di una dimensione lavorativa aggravava il senso di me stesso. Avevo bisogno di un riscontro di identità sociale e si è presentata questa occasione: portalettere in sella a un motorino di nome Isotta».

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Non dev’essere stato facile, suppongo.

«Il cambio di vita è stato radicale, ho dovuto superare un blocco dovuto credo in parte all’imbarazzo . Ma poi ho accettato questa offerta di lavoro come una sfida, una sorta di primo passo per ricominciare senza sconti di pena, in un ambiente che non mi riconosceva per il mio passato ma soltanto per quello che ero in quel momento. Di quell’inverno passato in sella a un motorino a consegnare pacchi e lettere porterò per sempre il segno indelebile di un morso di un cane. Ho scoperto sulla mia pelle che è vero: i cani odiano i postini. Allo stesso tempo è stata un’esperienza che mi ha insegnato tanto, per me che prima dei 26 anni sul palco con i Punkreas avevo collezionato una discreta serie di licenziamenti».

Sai che anche Bukowski ha lavorato alle Poste?

«Certo, infatti ho regalato una copia di Post Office a tutti i colleghi portalettere prima di spostarmi allo sportello».

E mi vorresti far credere che, come a lui, non è mai venuta fuori la tua anima punk ribelle?  

«Beh devo ammettere che a un certo punto sono stato deferito in disciplinare per una vivace divergenza d’opinioni con i superiori. Però, con mia grande sorpresa, ho potuto sostenere tranquillamente le mie ragioni, sono stato ascoltato senza pregiudizi e ne sono uscito benissimo.  Tant’è vero che sono passato allo sportello, con un contratto a tempo indeterminato part time che mi permette di continuare a coltivare le mie passioni, senza le quali appassisco».

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Non ti manca il palcoscenico?

«Devo dire la verità, per tanti anni mi sono sentito orgoglioso interprete di un movimento collettivo nato sulla scorta dei centri sociali che però, a un certo punto, è finito. E più suonavo ai nostri concerti e più mi accorgevo che il pubblico era sempre meno interessato ai pezzi nuovi e aspettava soltanto i 5-6 brani finali, i classici di sempre da rivivere con nostalgia per la propria gioventù. Di finire a fare il Cugino di Campagna punk, sinceramente, proprio non mi andava».

Scrivi ancora?

«In questo momento mi sono buttato sulla filosofia. Sono convinto di poter scrivere qualcosa di importante in campo filosofico nei prossimi anni. Lo so, detta così può far ridere, ma inseguire i sogni e le passioni è quello che mi interessa nella vita. Raggiungere i propri traguardi è meno importante di averli. Intanto a gennaio diventerò consulente filosofico dopo il master con Pragma, una scuola di counseling».

I dread e i piercing però sono rimasti.

«Fanno parte di me: non avrei mai rinunciato e nessuno di Poste Italiane mi ha mai detto di toglierli. Sapevo di non essere il profilo ideale per una posizione di sportellista, e invece mi hanno assunto. Non soltanto ho trovato un’azienda senza preconcetti, ma credo di essere capitato in un momento particolare di rinnovamento, in cui si vuole dare ai clienti un servizio moderno e un’immagine al passo coi tempi. Dello sportello mi piace inoltre che i clienti sono tutti uguali, qui non contano nazionalità, etnia, religione o colore della pelle e non importa nemmeno se devi fare un’operazione da qualche migliaio di euro o prelevare venti euro».

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