Gallarate, «Da Petrone minacce a tutti per far approvare il Pgt». L’affondo dei pm

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GALLARATE – Messaggi minatori che, l’ormai ex assessore all’Urbanistica di Gallarate Alessandro Petrone, arrestato con il plenipotenziario di Forza Italia Nino Caianiello, in seno all’indagine Mensa dei poveri, avrebbe inviato a altri politici locali e funzionari comunali in grado di far approvare la variante al Pgt fulcro del filone d’inchiesta gallaratese. Messaggi abbastanza inequivocabili per i pm: «C’è una linea della morte tra te e me», avrebbe scritto Petrone.

«C’è una linea della morte tra me e te»

Petrone, viene descritto dai magistrati milanesi che coordinano l’inchiesta, il braccio destro di Caianiello. Il braccio “armato” del Mullah in giunta per ottenere i risultati voluti: sul piatto ci sarebbero stati parecchi affari. Stando a quanto contestato dai pm la variante al Pgt gallaratese avrebbe dovuto portare alle modifiche richieste dall’imprenditore gallaratese Leonida Paggiaro su un terreno di via Mazzini di proprietà della società Paso, riconducibile alla moglie di Paggiaro. In cambio l’imprenditore avrebbe rinunciato a un risarcimento pari a 125mila dovuto da Caianiello dopo la condanna in via definitiva a tre anni per corruzione proprio nei confronti di Paggiaro stesso. Una tangente al quadrato, come l’ha definita il pubblico ministero Luigi Furno. Il secondo presunto affare riguarderebbe una mazzetta da 50mila euro per lo spostamento di un supermercato Tigros su un terreno di via Torino/via Cadore di proprietà di una società riconducibile all’imprenditore gallaratese Pier Tonetti. Per raggiungere il traguardo voluto da Caianiello Petrone sarebbe ricorso anche alle minacce salvo poi andare dal Mullah soddisfatto: «Ho compiuto la mia missione, la variante al Pgt è approvata. Adesso voglio un incarico più prestigioso» disse l’ex assessore suggerendo la  sua nomina come dirigente Aler con uno stipendio da «200 mila euro all’anno». Il particolare dei messaggi minatori è emerso durante l’udienza davanti al tribunale del Riesame attraverso la quale Petrone ha chiesto di tornare in libertà: i pm hanno mostrato i messaggi per supportare l’ipotesi di una concreta possibilità di inquinamento delle prove.  L’assessore, secondo quanto riporta l’agenzia La Presse, da quanto hanno scoperto i magistrati, utilizzava uno stratagemma per cancellare i messaggi: sul proprio telefono aveva installato l’app Signal che gli permetteva di eliminare i testi compromettenti subito dopo averli inviati. I messaggi, però, erano conservati nei cellulari dei destinatari, dove gli investigatori li hanno trovati. Una copia di quegli scambi è stata prodotta nel corso dell’udienza davanti ai giudici del Riesame.

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