Giuseppe, lo sfregiato di Legnano: «Non odio nessuno, ma voglio giustizia»

legnano giuseppe morgante

LEGNANO – «Non odio nessuno e non voglio vendetta: quello che chiedo è soltanto giustizia». E’ diretto Giuseppe Morgante, 30 anni «compiuti in ospedale tra un’operazione e l’altra», sfregiato con l’acido da Sara Del Maso lo scorso 7 maggio a Legnano. «Hanno detto che era la mia ex – spiega Giuseppe – Siamo usciti qualche volta per circa due mesi: non è una ex. In ogni caso, anche se fossimo stati insieme 20 anni, quello che ha fatto non ha una giustificazione».

Meglio se mi avesse sparato

E’ materia delicata quella che Giuseppe tratta dopo 10 operazioni: «L’ultima a settembre è durata dalle 8.30 alle 22, e ce ne dovranno essere altre. Ho paura di perdere l’occhio, e la pelle d’inverno diventa dura come il marmo. Come una corazza, dopo il trapianto.  E’ un calvario e le creme e le operazioni insieme costano migliaia di euro». Morgante chiede giustizia; Del Maso ha chiesto, attraverso i difensori, di poter patteggiare a 5 anni. «Lo so – dice Giuseppe – E’ su questo che voglio insistere. Cinque anni, e magari dopo due sei fuori. Credo che, se la richiesta fosse accolta, passerebbe un messaggio del tutto sbagliato». Morgante a questo punto dice una cosa fortissima: «All’inizio di questo percorso mi sono ritrovato spesso a pensare che forse sarebbe stato meglio un colpo di pistola. Un colpo di pistola che ti lascia morto ed è finita. Oggi è diverso: io sono sempre stato una persona immediata. Tutto subito, in fretta. Oggi ho imparato la pazienza. E’ un percorso lungo, i medici dettano i tempi di operazione in operazione. Si parla di mesi, ogni volta. Ho imparato a rispettare questi tempi, ad attendere. A seguire il mio percorso, giorno dopo giorno mi ripeto che non posso fare altro che andare avanti. Con forza. Non voglio rimanere  psicologicamente “sotto” a questa vicenda. Ma giustizia sì, la pretendo. E 5 anni per aver cercato di uccidere qualcuno, per avergli causato lesioni gravissime che si porterà dietro tutta la vita, perché l’acido ti brucia sempre, è sempre lì, no, non li reputo una pena adeguata».

Serve una legge che possa prevenire

A questo punto Morgante  è diretto: «Prima dell’acido avevo già denunciato i comportamenti di questa persona. Prima dell’acido c’erano stato lo stalking. Decine di messaggi, le gomme della macchina tagliate, le chiamate sotto falso nome sul mio posto di lavoro. E’ arrivata addirittura a diffondere la mia foto con finti messaggi in chat gay – spiega Morgante – Che vanno benissimo, ma non sono omosessuale e soprattutto non ero stato io a lasciare quelle foto e quei messaggi. Ha violato il mio diritto di scelta, la mia privacy. Ha violato ogni cosa». E Giuseppe tutto questo lo aveva denunciato. «Ma non si è potuto fare niente, non è stato fatto niente. Non per mancanza di volontà, ma perché mancano gli strumenti normativi. Io sono in contatto, ad esempio, con Gessica Notaro (Miss sfregiata con l’acido dall’ex e campionessa di Ballando con le Stelle) e Daniele (infermiere milanese che ha subito la stessa sorte senza voler mai rivelare la propria identità), uomini e donne che hanno subito la mia stessa sorte. Il loro supporto, l’ascoltare la loro esperienza, sentire da loro come sarà il percorso che dovrò affrontare, mi è di aiuto. Ma che non si sia potuto fare niente, prima di arrivare a questo, non mi dà pace». Morgante insiste sulla prevenzione: «Il Codice Rosso è un bellissimo primo passo, ma non basta. Servono leggi che garantiscano pene adeguate e certe, ma soprattutto che consentano alle forze di polizia di intervenire in modo concreto alle prime avvisaglie. Prima di ritrovarsi una persona sotto casa con una bottiglia di acido in mano». O con una pistola, un coltello. O semplicemente a mani nude, ma con la volontà di uccidere dopo aver minacciato più e più volte di farlo.

Un incubo che non finisce mai

«Prevenzione. E’ quello per cui oggi mi spendo, perché non voglio che altri, donne e uomini, passino quello che sto passando io. Servono pene certe: una persona adulta, un uomo o una donna, che premedita una cosa del genere quando la mette in atto, sa perfettamente quello che sta facendo. Cinque anni, e poi la paura di trovarmela ancora sotto casa. Cosa dovrei fare se dovesse accadere? Reagire e passare dalla parte del torto? Queste cose sono un incubo che non finisce mai. Io oggi penso alle mie operazioni. Ai costi che dovrò sostenere. Ho avuto molta solidarietà, persino una raccolta fondi per pagare le cure che la mutua, paradossalmente, non passa. Ma penso anche al processo. Penso a quei 5 anni sul piatto, penso all’accaduto come a un incidente per non impazzire. Penso però che una giustizia ci deve essere: se fai una cosa del genere devi pagare sino in fondo. Affinché tu non possa più mettere a rischio altre persone».

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