Il contropiede della ministra che manda in gol l’ex collega

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Matteo Salvini, Luciana Lamorgese, Bobo Maroni

di Massimo Lodi

Draghi è un patito della maratona (1h55’ nella ‘mezza’ Roma-Ostia, pochi anni fa). Chissà se la Lamorgese lo è del calcio. Perché, amici, che contropiede da manuale al pressing di Salvini. Il Capitano, sconfitto alle amministrative, si sgola dai banchi parlamentari invocando le dimissioni della ministra, accusata di “…far cose che neanche in Cile e Venezuela”. E la ministra, l’indomani, designa Maroni presidente della Consulta contro il caporalato.

Salvini segretario leghista, Maroni icona leghista. Qualcosa non torna. Salvini che s’intesta la scelta (“Per ottenere un risultato, la signora deve rivolgersi a noi”), Maroni che prende le distanze (“Non ho visto un totale e incondizionato appoggio del partito”). Tutt’e due non tramite esternazione diretta, ma per vie laterali: retroscena sussurrati dal Corriere della Sera e dal Foglio.

Una conferma, vi pare o no?, che le Leghe sono due. Quella ondivago-governista d’oggi (Salvini), quella vetero-governista di ieri (Maroni). La prima non imbarazzata ad aprire il fuoco amico sul premier; la seconda idem disinvolta nell’accettare il prestigioso ruolo dalla nemica del leader. Singolare la diversità d’atteggiamento dei due ex inquilini del Viminale (Maroni nel ’94, Salvini nel 2018), storicizzabile il sostegno del primo alla bersagliata dal secondo.

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Massimo Lodi

La conoscenza, e a seguire il sodalizio istituzionale, tra Maroni e Lamorgese sono di vecchia data. Lei era viceprefetto di Varese quando lui fiancheggiò Bossi nella conquista d’un epocale consenso. Lei fu capo di gabinetto ministeriale quando lui presiedette al dicastero. Lei faceva il prefetto di Milano quando lui diventò governatore della Lombardia. Incarichi diversi, empatia contraccambiata. Entrambi adesso pigiano sul tasto morale/sociale: l’onore. Lei dice: ringrazio di cuore Roberto Maroni che ci ha dato il grande onore di raccogliere la nostra richiesta. Lui chiosa: questa carica è per me un grande onore. Voglio portare avanti l’impegno con tutta l’energia necessaria.

Complimenti che neanche in Cile e Venezuela, terre d’abrazos, ci si scambia di frequente. Cala la tendina del silenzio Salvini, non la tira mai su Giorgetti. Però una sbirciatina alla vicenda conforta il suo assunto: si sta con Draghi, mica contro. Il motivo sembra chiaro. Caso mai quagliasse l’idea d’un centrismo liberal-riformista (da Calenda a Letta passando per Berlusconi e Renzi) e nascesse la maggioranza Ursula (post Ulivo più Forza Italia), dove finirebbe la Lega, se non nella marginalità d’una sterile opposizione? Giorgetti, forte dell’armonia col blocco nordista, s’adopera per sventare il pericolo. Maroni gli dà una mano. Da capire se a insaputa di Giorgetti medesimo oppure no. Una domanda che anche Salvini rivolge a sé stesso. Si darà una risposta?

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