Il rettore della Liuc: dal coronavirus impariamo il coraggio di cambiare

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Federico Visconti, rettore della Liuc, l’Università di Castellanza. Professore, il coronavirus ha contagiato in modo drammatico economia e finanza. Le Borse sono saltate. Esiste una cura efficace?
“Premetto. Negli ultimi quarant’anni, più ancora negli ultimi dieci, abbiamo guardato quasi esclusivamente al modello tecnologico, dando grande importanza ai dati. Ora, a causa di una variabile imposta dalla natura, ci ritroviamo in un ribaltamento delle nostre tendenze. Per il coronavirus stiamo subendo uno choc radicale, che ha generato una crisi senza precedenti. Non si tratta né della famosa austerity, né delle conseguenze di un terremoto, né delle Torri Gemelle, né di altro”.

Perciò?
“Si tratta di una crisi che tocca tutti, in modo indistinto. Con l’aggravante che nessuno ha mai gestito e risolto una simile situazione. Voglio dire, non esistono manager esperti in materia. Di più: la finanza si affida, sulla base del modello a cui accennavo, soprattutto alle macchine”.

Professor Visconti, in che senso?
“I mercati e i meccanismi di vendita che li regolano sono molto nelle mani degli algoritmi, i quali non conoscono la variabile coronavirus. Anche per questo motivo lo scenario è ancora più grave di quanto avrebbe potuto essere se a gestire e a impossessarsi della situazione fossero gli uomini. L’essere umano contempla infatti delle variabili che l’algoritmo non possiede. In altre parole, può essere che il vecchio agente di Borsa avesse in sé nozioni e capacità di analisi altrimenti inapplicabili se ci affidiamo soltanto a modelli tecnologici, in special modo in un contesto drammatico come l’attuale. Insomma, non possiamo prescindere dal capitale umano”.

Dopo di che il problema è sì finanziario ma anche economico.
“L’economia è fatta di offerta e domanda, di breve e medio periodo. Per sostenerla servono oggi mosse forti, come i 25 miliardi stanziati dal governo. Per dirla con l’economista Francesco Giavazzi,  si deve fare tutto ciò che serve. E nel fare tutto ciò che serve, l’Italia deve guardare fin da adesso al medio periodo se vuole ripartire davvero. Bisogna passare fin da subito ai fatti, per esempio con le infrastrutture, che non sono soltanto il ponte di Genova. Certo, l’emergenza coronavirus ha la priorità per ovvi motivi, ma è necessario reinvestire laddove si è smesso di investire. Magari partendo proprio dalle infrastrutture sanitarie. Mi lasci fare una provocazione”.

Certo, quale?
“Reinvestiamo con la logica inglese del ‘Trade-off’, alcune cose le fai, altre smetti di farle. Capisco che non è un modo di agire italiano, ma da qui non si può prescindere. Faccio un esempio in campo ospedaliero: sviluppi cinque ospedali con criteri d’eccellenza e tre li chiudi. Il tenere dentro tutto non vale più”.

Intanto c’è il coronavirus.
“Non discuto e ribadisco: la soluzione dell’epidemia ha la priorità su qualunque altra cosa. Ma il trauma che stiamo subendo deve servire per uno sforzo di cambiamento futuro. Siamo costretti a fare ciò che sosteneva Sergio Marchionne: il coraggio di cambiare. La presenza del virus ci costringe ad accelerare questo coraggio. Dobbiamo assumerci tutti le nostre responsabilità, proprio come stanno facendo ora coloro che, appunto con coraggio, combattono l’infezione”.

Esiste però un problema di fiducia, tutt’altro che irrilevante nel nostro Paese.
“La fiducia è un meccanismo importante nell’economia. Conosciamo il problema: se non cambio la caldaia l’idraulico non lavora. Quest’anno, quando l’emergenza sarà finita, andiamo  in vacanza a Celle Ligure o a Rimini, come si faceva una volta. Facciamo cioè ripartire il mercato interno, anche se, com’è evidente, non possiamo vivere solo col mercato interno. In conclusione…”.

In conclusione?
“Viviamo un momento di ansia e preoccupazione a cui bisogna anche dare un messaggio positivo: il nostro Paese sta rispondendo con logiche di responsabilità e solidarietà. E questi sono valori imprescindibili. Ecco, che ognuno si assuma le proprie responsabilità, da qui in poi”.

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