Il dolore questo sconosciuto

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Ivanoe Pellerin

di Ivanoe Pellerin

Cari amici vicini e lontani, credo sia interessante completare quello sguardo curioso e affascinato intorno all’enigma del dolore. Credo di poter affermare con forza che il dolore è il sintomo più soggettivo che la persona possa esprimere. La percezione del dolore differisce per tutti ed è soggetta ad una serie di interpretazioni le più diverse fra loro. Una paziente poco tempo fa mi disse: “Il dolore è un fatto privato” ed io credo che questa definizione sia tra le migliori. Affermo questo poiché occorre considerare l’enorme plasticità della sensazione dolorosa. La quantità e la qualità del dolore che noi percepiamo differiscono da persona a persona e dipendono da un enorme numero di determinanti, come la cultura, l’ambito sociale, il credo religioso, la professione, perfino l’ambiente geografico in cui si vive e molto altro ancora.

Alcuni appunti. Molte fanciulle ricordano il dolore da parto come il peggior dolore percepito. Ricordo le parole bibliche: … “partorirai nel dolore”. I libri che trattano “il parto naturale” pongono in rilievo come la paura, determinata da fattori culturali, aumenti l’intensità del dolore percepito e indicano come sia difficile dissiparla. Ebbene presso alcune popolazioni basche il parto, quello fisiologico, naturale appunto, non è percepito come doloroso. In vicinanza dell’avvenimento è il marito che si mette a letto e si lamenta in continuazione mentre la donna prosegue i lavori quotidiani. Solo quando il parto si conclude, la donna si mette a letto e accudisce il nascituro e l’uomo torna a lavorare nei campi. Nelle popolazioni native del Nord America, quelle che seguivano la migrazione dei bisonti, la tribù si muoveva a piedi. Quando la donna doveva partorire si allontanava con le amiche e le parenti per il concepimento e poi con il bimbo o bimba raggiungeva sempre a piedi la tribù che aveva marciato durante la giornata e solo a sera intorno ai fuochi si festeggiava l’avvenimento. Significa che nella nostra cultura le donne inventano il dolore? Niente affatto. Fa parte della nostra cultura riconoscere il parto come possibile pericolo per la vita della madre e del nascituro e le ragazze imparano a temerlo.

Ancora. Presso alcune tribù curde ai nostri giorni, durante particolari cerimonie religiose, i praticanti riescono a entrare in una specie di “stato di esaltazione” che permette loro di avvicinarsi alla divinità mentre si procurano ferite dolorose e a volte delle vere e proprie mutilazioni. Così vediamo che mentre la nostra cultura considera il dolore sempre un disvalore, presso altre è considerato un elemento positivo e importante della vita, un mezzo attraverso il quale l’uomo può migliorare il suo senso religioso, può acquisire una più elevata spiritualità, può dimostrare di essere coraggioso, equilibrato, degno di generale considerazione.

In un film degli anni ’70, “Un uomo chiamato cavallo” di Eliot Silverstein, viene descritta con dovizia di particolari una cerimonia appunto di iniziazione, la “danza del sole”, tipica degli indiani delle pianure del Nord America, dolorosissima, attraverso la quale il protagonista ritenuto fino a quel momento appunto come un cavallo, dimostra, attraverso la sopportazione del dolore, di poter essere ascritto nella nobile schiera dei guerrieri guadagnandosi la stima dei suoi compagni e la strada verso la fortuna e la fama.

È ampiamente dimostrato che la gente dà un significato variabile alle situazioni che producono il dolore e che tale significato influenza grandemente il grado del dolore percepito. È noto uno studio sul dolore dimostrato dai marines che parteciparono allo sbarco ad Anzio. Benché feriti portarono a termine l’attività bellica, se non evidentemente impediti nell’autonomia, e solo a sera all’ospedale da campo chiesero gli analgesici dei quali avevano evidentemente bisogno. Non c’è alcuna relazione semplice e diretta tra la ferita in sé e il dolore provato. Il dolore è in gran parte determinato da altri fattori e in questo caso è di grande importanza il significato della ferita… nei soldati feriti (la risposta al danno) era il sollievo, gratitudine di essere usciti vivi dal campo di battaglia, persino euforia. Nei civili l’intervento chirurgico è da sempre un evento deprimente, disastroso e certamente doloroso.

Negli sportivi la tolleranza al dolore è un aspetto di rilievo. Un grande pugile è per definizione anche un grande incassatore. Per prima cosa gli spaccano il naso ed io credo che sia molto doloroso. Poi deve resistere alle cariche dell’avversario che inevitabilmente fanno male. Anche in questo caso il valore della sopportazione è positivo. Potrei continuare a lungo in questa direzione ma voglio proporvi una semplificazione. Se mi do una martellata su un dito provo dolore. Ma se alla mia porta suona un postino che mi consegna una busta dentro la quale trovo un biglietto della lotteria che mi fa vincere un milione di euro è probabile che io sentirò meno dolore, è probabile che ci penserò molto meno e forse che mi dimenticherò della martellata. Il nostro cervello funziona così. Ricordo che abbiamo all’interno del nostro organismo un ottimo sistema antidolore che produce sostanze analgesiche come le endorfine e le enkefaline.

Cari amici vicini e lontani, abbiamo visto rapidamente insieme che uno stimolo può essere doloroso in una situazione e non in un’altra, che la stessa lesione può avere effetti diversi su individui diversi o persino sullo stesso individuo in tempi diversi. Nella maggior parte dei casi, senza dubbio, sussiste una semplice relazione: più forte è la martellata sul famoso dito, più probabilità ci sono che il dolore sia ugualmente forte.

Credo che allora possiamo parlare giustamente di “Enigma del dolore” come ha fatto Ronald Melzack, in un famoso libro. Cari amici vicini e lontani, concludo con queste considerazioni: la solitudine del paziente che soffre, la difficoltà a colmare questa situazione, l’assoluta certezza di questo disvalore, condizione privata e incomunicabile, poiché nessuno è in grado di provare ciò che io provo.

*già direttore dell’Unità Operativa Complessa di Cure Palliative e Terapia del Dolore dell’ospedale di Legnano

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