Il realismo di Giorgia che non esclude un alter ego

lodi meloni salvini berlusconi

di Massimo Lodi

Succede questo, a destra. Che neanche promettendo di piantare un milione d’alberi, Berlusconi riesce a far ombra alla Meloni. E che neppure intestandosi il futuro, mirabolante programma di governo Salvini ce la fa a rimontarla nei sondaggi. Accade l’opposto: il realismo finora praticato dalla leader di FdI risulta premiante. Poi, chiaro: un conto sono le intenzioni d’eventuale voto, un conto è il voto. “Eventuale” non va inteso come aggettivo buttato lì a caso: nessuno sa, tra gl’interpellati dagl’istituti demoscopici, quanti di loro andranno alle urne. Dunque, guai a ritenere sicuro ciò che lo sembra, al lordo degli umori astensionisti.

Il pragmatismo di Giorgia non consiste solo nel raccontarsi in pubblico come atlantista persuasa e alleata senz’obliquità dell’Occidente anti-Putin. Consiste nel preparare con affaccendato trasporto un futuro da leader della coalizione vincente. Rientrano nella strategia: i colloqui informali con Draghi, giusto finalizzati a capire che cosa grandinerà su Chigi dall’autunno in avanti; le riflessioni sull’assegnazione di ministeri-chiave, Interni Esteri Economia, che non è detto siano appannaggio d’esponenti di partito anziché di personalità tecniche dal sicuro affidamento; infine e addirittura il ruolo di lei medesima. Premier in prima persona o regista d’una rappresentazione che preveda un alter ego nel ruolo di guida istituzionale?

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Massimo Lodi

La Meloni sa che vincere è una cosa, governare un’altra. Primo: ci vogliono numeri che non richiedano imbarazzanti ricerche d’alleati post-verdetto popolare. Secondo: per tenere a bada Berlusconi e Salvini, potrebbe essere opportuno/obbligato imporre sacrifici di poltrone all’intera coalizione. Terzo: La competenza dovrà far aggio sul resto, viste le difficoltà epocali da cui è attesa l’Italia. Quarto: se tanta cautela non bastasse, si deve star pronti al piano alternativo. Ovvero a un possibile Draghi bis senza Draghi, con qualcuno che gli somigli in sua vece, con FdI al posto dell’M5S in una simil-maggioranza a quella odierna, con Il Pd di Letta e il “campo aperto” della sinistra interlocutori non eludibili.

Non sono fantasie spericolate. Sono chiacchiere d’un qualche fondamento. Se le scambiano i leghisti critici verso il segretario, i dimaiani fuggiti da Conte, le truppe in uscita da Forza Italia, le anime varie e inquiete dei progressisti in affanno. Per non dire del mondo produttivo, associazionistico, commerciale, delle professioni eccetera. A tutti sta a cuore la stabilità. Soltanto la stabilità. E bisogna trovare il modo d’assicurarla. Non che le intese gialloverdi e giallorosse della morente legislatura siano necessariamente il battistrada d’una intesa rossonera in quella a venire, però che dopo il 25 settembre succeda qualcosa/molto di diverso dal pronosticabile è un’ipotesi da tenere in evidenza. Ciò che fa la Meloni, nell’ovvia sua speranza che si tratti solo d’un esercizio di scuola: meglio masticare tra sé che garantire dentiere a chiunque.

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