La percezione del dopo, senza banalizzare

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Ci vuole singolare ottimismo e scarsa percezione della situazione per ritenere che a giugno riprenderemo a vivere come prima, più di prima. Leggiamo infatti, a tutta pagina, che gli organizzatori del Festival Latino di Busto Arsizio sono pronti ad aprire i padiglioni di MalpensaFiere tra un paio di mesi, riempiendoli di musica, balli, cibo, mojioto, caipirinha e persone sudaticce, attaccate le una alle altre. Roba da matti. Benché sia legittimo, anzi, doveroso pensare fin da subito al dopo. Ma bisognerebbe pensarci tenendo i piedi per terra: la ripresa sarà lenta, per gradi, durissima e, soprattutto, non si sa quando comincerà nel concreto.

Per ora la gente continua a morire e, forse, dovremmo astenerci dal banalizzare. La prospettiva è di altri mesi tutt’altro che all’acqua di rosa, con l’economia depressissima e l’ineludibile necessità di evitare ritorni del virus. Insomma, dovremo farcene una ragione, nonostante sia comprensibile l’umano desiderio di tornare a correre. Dobbiamo mettere in conto una serie di rinunce, almeno per un certo periodo.

Un sacrificio collettivo per ritrovarci e ritrovare una dimensione di normalità. Nella quotidianità, nelle cose della pubblica amministrazione, nei divertimenti. Alle viste ci sono tagli alle cosiddette “cose superflue”. I primi appuntamenti a pagare pegno saranno proprio quelli mondani, delle feste in piazza, degli assembramenti che rimarranno a lungo, finché non interverrà un vaccino o una cura efficace al Covid-19, incombenti focolai di nuova diffusione epidemica. Poi toccherà agli interventi della pubblica amministrazione: salteranno molti progetti, magari in ballo da anni e rimessi in lista d’attesa dal coronavirus. Senza che sia possibile riprogrammarne la realizzazione in tempi certi. Per il semplice motivo che mancheranno i finanziamenti: i soldi in cassa, quei pochi che rimarranno, dovranno essere spesi per le necessità più urgenti, rinviando tutte le altre, attorno alle quali c’erano aspettative pubbliche, politiche e amministrative.

Ogni Comune è chiamato a riorganizzarsi e a riorganizzare le spese, tirando righe su una serie di iniziative. Matteo Renzi ha chiesto di riaprire almeno le librerie, per sostenere lo spirito. Una provocazione tutt’altro che banale, la sua. Ma la sensazione è che sarà proprio la cultura, quanto meno in molte città, a subire i rigori della crisi. E questo, comunque la si intenda, non aiuterà affatto la ripresa mentale, psicologica, spirituale e, appunto, culturale.

Il coronavirus ci obbliga a scelte impensabili fino a qualche tempo fa, che mai avremmo messo in conto. Scelte personali e scelte che riguardano la comunità. Scelte immediate, per affrontare l’emergenza, e scelte per il futuro prossimo venturo. Che potrà anche comprendere danze, ricchi premi e cotillon, ma non domani. E neanche dopodomani.

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