La semplificazione che ci complica la vita

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Il neo presidente del Consiglio regionale, Federico Romani, sintetizza il concetto: “La semplificazione dovrà essere la parola chiave dell’azione del governo regionale”. Un gran bel programma, corroborato dalle intenzioni del presidente Attilio Fontana che, nel suo intervento di inizio legislatura, tre le altre cose ha dichiarato guerra alla burocrazia. Un mostro tentacolare, la burocrazia, che invade ogni settore, nonostante, da sempre, la politica cerchi di porvi rimedio. E ad ogni occasione pubblica sottolinei l’urgenza di interventi risolutivi.

Semplificare e sburocratizzare. Insomma, sono due argomenti che impegneranno gli amministratori lombardi. Perlomeno nelle intenzioni. Perché poi, nella pratica, i risultati sono quelli che sono, in molti apparati e in quasi tutte le forme che interessano da vicino i cittadini. Il problema, si capisce, non riguarda soltanto la Lombardia, ma l’intero Paese. Tutti vittime di disagi e lungaggini all’apparenza senza spiegazioni plausibili. Eppure causa di disservizi enormi.

Per restare all’ombra di Palazzo Lombardia, il tema prioritario su questo versante sono le liste d’attesa nella sanità. Un problema nel problema, anzi, più problema di qualunque altro, al momento irrisolvibile. C’entra la burocrazia? Boh. Di sicuro, l’esiguità degli organici e la scarsità delle risorse sono tra le cause principali, ma non le uniche. Forse si tratta di un’organizzazione sbagliata delle agende, ma siamo impreparati a dare una risposta in merito. Non sappiamo. Ci disorientano quando ci spiegano che non sanno come muoversi nemmeno i diretti interessati, i manager della sanità e i politici ai quali compete risolvere la questione e invece allargano le braccia, e così sia.

La nuove tecnologie, l’informatizzazione, l’utilizzo di macchine a ragione ritenute straordinarie dovrebbero, appunto, semplificare. Invece ci vogliono otto, nove mesi per avere il passaporto. Ma vi sembra possibile? Soltanto alcuni anni fa, quando gli addetti al rilascio del documento per l’espatrio lavoravano di timbri e macchine da scrivere, bastavano un paio di settimane, forse meno. Tempi più ristretti, comunque inaccettabili, persino per rinnovare la carta d’identità in Comune: bisogna chiedere l’appuntamento, fare la coda e affidarsi alla buona stella. Non vi capiti poi di finire nelle spirali della giustizia: anni per arrivare a una sentenza, specialmente se di natura civile. Le riforme a riguardo? Inutili. Dappertutto è un calvario. Né più né meno come per qualunque pratica edilizia o, peggio, per affrontare un contenzioso fiscale. Tutto dilatato, tutto complicato: moduli, richieste, perorazioni, conferme, verifiche, dati, sigle, simboli, documenti, mail. Guai a non saper usare un computer: si finisce per essere tagliati fuori. Ma è accettabile?

Che sia sempre stato così è vero soltanto in parte. E non sempre è una questione di burocrazia. A volte c’entrano aspetti che non hanno a che fare con le carte e le marche da bollo. Sullo sfondo c’è un apparato pubblico, composto da moderno e tecnologico personale che ha sostituito le “mezze maniche” di una volta, in fase di esaurimento della spinta propulsiva, e ci siamo capiti. Assieme alle difficoltà gestionali e di organico interviene una certa malavoglia (sciatteria?), senza per questo voler generalizzare (ci mancherebbe), un “lasciare andare” dovuto a mille fattori, che però concorre a ingarbugliare le situazioni. Così che la semplificazione invocata da Federico Romani finisca per trasformarsi in complicazione anche delle cose più semplici. Però la politica promette di metterci mano, di risolvere ostacoli, intoppi e ritardi. Tanto promettere non costa nulla: c’è sempre qualcuno che ci crede.

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