L’economista De Romanis: «Col Mes soldi subito. Dire di no, un grave errore»

veronica de romanis

ROMA – «L’Europa? Non è mai scesa in campo in maniera così significativa come in questo momento, Non lo dico io, ma i numeri: sono 2 mila i miliardi messi a disposizione subito o in prospettiva, per affrontare emergenza sanitaria e crisi economica e di questi, 300 miliardi sono destinati all’Italia». Dire no al Mes, insomma, significa rinunciare a una parte di questi finanziamenti.

Veronica De Romanis, economista e docente di Politica economica europea alla Stanford University (The Breyer Center for Overseas Studies) a Firenze e alla Luiss Guido Carli di Roma, non ha dubbi su quali scelte deve fare in questo momento l’Italia: programmare attentamente la ripartenza ed evitare di essere l’ultimo Paese a “riaprire” e sfruttare gli aiuti economici messi a disposizione dall’Europa.

Professoressa Veronica De Romanis, sugli aiuti economici dell’Europa all’Italia la politica si sta dividendo, in particolare sul Mes. E’ possibile fare un po’ di chiarezza? 
«Non entro nel merito di quello che è a tutti gli effetti un teatrino politico e che in questo momento è un lusso che non ci possiamo permettere. Come Paese dobbiamo quanto meno approvare la decisione di accedere al Mes. Poi valuteremo se usarlo o meno, come stanno facendo, ad esempio, i francesi Del resto, questa sarà una lunga crisi, non sappiamo quanto denaro servirà. Quindi è bene premunirsi di tutti gli strumenti utili. Il Mes è uno di questi che l’Europa ha messo a disposizione per gli Stati membri, ma non è l’unico».

Però c’è chi esprime dubbi sulla convenienza di aderire al Mes, come mai? 
«Il timore di chi non vuole il Mes è sull’introduzione di condizioni ex-post. Ma non è mai successo che chi ha fatto ricorso al Mes si sia trovato poi ad affrontare condizioni “al buio”. Le attuali riguardano l’uso di spese sanitarie dirette e indirette. Quelle sono e non cambieranno. E l’ha ribadito proprio oggi (domenica 19 aprile) il presidente del Mes sul Corriere della sera. Il Mes è un canale di finanziamento subito disponibile e che vale per l’Italia il 2 per cento del Pil, ovvero 36 miliardi per spese dirette e indirette. E in queste ci può entrare ad esempio il sostegno economico per le piccole attività, ad esempio. Non accedere non ha senso».

Quali sono i canali di aiuto economico dell’Europa? 
«Possiamo considerare tra questi anche il fatto che sono state sospese le regole fiscali. Gli Stati possono fare debito senza violare il patto di stabilità e crescita. Anche la Bce ha messo in campo un’importante azione di sostegno economico attraverso l’acquisto del debito, che per l’Italia significa 200 miliardi fino a fine anno. Vanno poi considerati i 30 miliardi di prestiti alle piccole e medie imprese messi sul piatto dalla Bei; i Fondi strutturali non spesi, che l’Italia in genere non spende e che dovrebbe restituire. L’Europa ha deciso di lasciarli nelle casse dei Paesi membri, che per noi valgono circa 20 miliardi. Altri 20 miliardi di euro potrebbero arrivare dallo Sure (State sUpported shoRt-timE work), un pacchetto d’aiuti da usare per la cassaintegrazione. E si sta lavorando per creare un Recovery found, ovvero un fondo da 500 miliardi di euro per sostenere i costi di ristrutturazione».

Quanto valgono tutti questi strumenti per l’Europa e per l’Italia?
«L’impegno economico dell’Europa ammonta a circa 2 mila miliardi di euro. E per l’Italia, contando tutte le azione nel suo complesso, potrebbero valere 300 miliardi di euro. Insomma chi sostiene che l’Europa non c’è, è perché sbaglia a fare i conti».

E ci si è dimenticati degli Eurobond, altro argomento divisivo. 
«Non è una dimenticanza. Gli Eurobond al momento non ci sono. E’ uno strumento che va creato e che richiede almeno un anno di tempo. E non solo, poiché ogni Stato dovrebbe anche essere disposto a cedere un pezzo di sovranità fiscale. E francamente non credo che tutti coloro che sostengono a gran voce questa soluzione siano disposti a farlo».

Insomma, sugli Eurobond si torna al teatrino politico?
«Il nostro Paese rischia di dire no al Mes che sono soldi disponibili da domani e di dire sì agli Eurobond che a oggi non esistono. Non mi sembra l’atteggiamento giusto davanti a una situazione che richiederà molti soldi».

E anche molto tempo, giusto? 
«Noi siamo stati il primo Paese che ha “chiuso” e rischiamo di essere l’ultimo a ripartire. Il rischio è quindi di perdere ulteriori fette di mercato, poiché c’è chi è già ripartito e chi è pronto a farlo poiché ha già pianificato tutte le azioni necessarie».

C’è una data: il 4 maggio.
«In realtà siamo gli unici a non avere date certe. Come su un’altra questione delicatissima: la riapertura delle scuole. Quando avverrà? Non si sa. Ma sappiamo che più a lungo resteranno chiuse e più disagi e disuguaglianze cresceranno. La Francia su questo ha già un giorno e Macron ha già pianificato una riapertura graduale a partire dalle zone più disagiate».

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