Tregua Giorgetti-Salvini, ma il leninismo è finito

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Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti: sguardi che non s'incontrano

di Massimo Lodi

La ricomposizione è di facciata, restano due idee della politica e della Lega. Salvini dice: ascolto tutti, decido io. Anche Giorgetti ascolta Salvini, riconoscendone formalmente la leadership, ma decide per sé stesso. Continuerà a tener ferma la barra europeista, moderata, contraria al sovranismo. Salvini individua i preferiti interlocutori nei premier ungherese e polacco, non nasconde empatia verso l’Afd tedesca e il lepenismo francese, trovando il tempo d’uno scambio di sorrisi con Bolsonaro.

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Massimo Lodi

Giorgetti mira all’inclusione del Carroccio nel Ppe, non basta allearvisi: se si è europeisti con Draghi a Roma, lo si è a Bruxelles e Strasburgo. Ne va della credibilità del partito e della conseguente presa sull’elettorato. Non a caso i ceti imprenditoriali del Nord, l’associazionismo artigianale, il commercio declinato in tutti i suoi rami giudicano indispensabile all’attuazione del riformismo da Pnrr una solidità interna e internazionale che rifiuta avventure populiste. Dello stesso parere i presidenti di Regione, chi esplicitamente (Veneto, Friuli) e chi meno (Lombardia).

Una novità storica: la doppia anima convivrà nella Lega. Non è più il tempo di cacciate e umiliazioni. Il leninismo delle origini s’è trasformato in realismo, piaccia o dispiaccia. Esiste un dissenso, non accetta di venir soffocato, bisogna tenerne conto. Vedremo fino a che punto nella circostanza dell’elezione al Colle. Giorgetti sarà un prim’attore della rappresentazione. Tanto quanto Salvini. Al primo non importa né di fare il segretario se il Capitano lasciasse, né di surrogare Draghi a Chigi in caso di sua salita al Quirinale. Al secondo importa di recuperare il consenso perduto, lo cerca nei territori della Meloni, respinge l’idea d’essere un post berlusconiano con vocazione federativa.

Difficile immaginare la possibile sintesi tra le opposte visioni di Giorgetti e Salvini. Più probabile un immediato futuro da separati in casa, nell’attesa di conoscere l’epilogo della partita per la presidenza della Repubblica. Poi ciascuno giocherà le sue carte. A ben poco, anzi a nulla, servirà l’assemblea plenaria convocata alla metà di dicembre. Si prefigura un classico: molto rumore per nulla. Ne uscirà un’altra ricomposizione di facciata, resteranno due idee della politica e della Lega. Fino a quando, boh.

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