Viaggio nella musica dagli anni Sessanta a oggi: in un libro il pantheon di Fabio Avaro

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Fabio Avaro, giornalista e critico musicale di Varese

VARESE – «In “Trip – Una visione del suono” una band che ha magari inciso un solo 45 giri non è meno importante di una che ha inciso dieci album». Fabio Avaro, firma di storiche riviste come Buscadero, Rockerilla e Rumore, ha stilato una sua personale classifica dei dischi più significativi per la storia della musica: l’arco di tempo coperto dal suo libro, che è stato presentato al Record Runners di via Albuzzi (nelle foto qui sotto) sabato 28 e domenica 29 gennaio, parte dagli anni Sessanta e arriva fino ai giorni nostri con “A better dystopia” dei Monster Magnet come ultima uscita.

Dischi dimenticati

«Quest’opera raccoglie tante cose che avevo dentro di me da tempo ma che finora non avevamo mai trovato una forma giusta per uscire», ha raccontato il giornalista e critico musicale di Varese. «L’idea è nata lo scorso ottobre quando, preparando un articolo di risposta a un altro pezzo, lo realizzai in formato inusuale, che mi piacque a tal punto da pensare che ne potesse venire fuori un libro».
“Trip” è un saggio, «ma è anche personale, perché nasce dalla mia passione per la musica: scrivendo per tante testate, mi sono reso conto che molti dischi che sono stati importanti per la mia vita sono ora inspiegabilmente dimenticati. Ho sentito quindi l’esigenza di parlarne, il libro è stato scritto tutto di getto. Un’urgenza scatenata anche dalla scomparsa a dicembre di Augusto Maistri, mio suocero a cui dedico idealmente l’opera, poi andata in stampa a inizio gennaio. Ne ha curato la grafica Cesare Camardo, che pochi giorni fa è diventato docente dell’Accademia di Brera».

La terra di nessuno

Il volume, che consta di oltre cinquecento pagine ed è stata pubblicato da Cool & Die Edizioni, segue un ordine cronologico e i suoi capitoli sono stati organizzati affidando a ciascuno un genere musicale diverso: come ha spiegato Avaro, «il primo è però atipico. Si intitola “Nobody’s land”, “terra di nessuno”, cioè praticamente un territorio di non-genere: ne sono protagonisti Miles Davis, George Clinton, Jimi Hendrix, James Brown e Sly Stone, cinque musicisti in cui confluiscono innumerevoli stili e che si sono influenzati a vicenda. Da lì si passa al garage anni Sessanta; “Trip” continua poi con le sezioni dedicate a heavy rock, psichedelia, progressive, acid folk, kraut rock, protopunk, grunge, etno sound, cantautori, post-rock, trip hop, ambient, minimal techno e così via fino a blues, jazz e soul. In tutte vengono illustrate, a seconda dei casi, le figure di dieci o venti artisti che considero rappresentativi».

I concerti punk al Virus di Milano

Avaro, che ha scelto Record Runners, storico negozio di vinile gestito da Edoardo Broggi, per presentare “Trip”, ha iniziato a scrivere di musica nei primi anni Ottanta: «L’esordio è avvenuto con due fanzine: Decontrol, che realizzavo con il mio amico Bernardo Favre, e Blast-Off. Da ottobre 1987 ho iniziato a collaborare con Buscadero e in seguito con Rockerilla, occupandomi di recensioni e approfondimenti». Sono seguiti Bassa Fedeltà, con due precedenti speciali su Rumore per introdurre la rivista, quindi Sottoterra e, tra 2017 e 2018, il blog musicale “Cinque perdute stelle”. «A dare inizio a tutto è stata la mia passione per la seconda ondata punk, cioè quella dell’hardcore che si è diffusa negli Stati Uniti e in Italia tra ’81 e ’82: a sedici anni io e Bernardo andavano a seguire i concerti al Virus di Milano. Ma la mia passione più grande è pero quella per il garage americano degli anni Sessanta, cioè le band nate come funghi dopo la “British Invasion” di Beatles e Rolling Stones che Lenny Kaye è stato il primo a raccogliere nella doppia compilation “Nuggets”».

«Non è una gara a trovare il disco più sconosciuto»

Se tra i dischi che l’autore di “Trip” porterebbe con sé sull’isola deserta ci sono quelli di Love, Clash, Ramones, Bruce Springsteen e le session complete di “On the corner” di Miles Davis, riguardo alla sua opera ha voluto sottolineare un aspetto cruciale: «Il parametro per ogni scelta è stato puramente emotivo. Le pagine non mostrano una gara a trovare l’album o l’artista più oscuri o sconosciuti, ma quelli che mi hanno emozionato di più: se, per esempiom nel crossover ho inserito i Rage Against The Machine magari poi nel grunge non ci sono i Nirvana.
E in ambito italiano, riguardo al punk, ho parlato dei Flebo Asma Rock di Milano, band di tredicenni che suonava con le Kandeggina Gang di Jo Squillo. Le loro incisioni sono andate perse e tutte le informazioni che io e Bernardo avevamo all’epoca sul gruppo, quando ancora non conoscevamo quel mondo, si limitavano a un’unica foto: ci affascinava e la contemplavamo in continuazione. Anche loro però, pur in questo modo, hanno esercitato su di noi un’influenza importante e ci hanno ispirato. Anzi, probabilmente tutto è partito da quell’immagine».

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