Lucio Piccoli fra i grandi dello spettacolo: «Nel mio libro ricordo solo chi lo merita»

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LEGNANO – Un bilancio della propria vita professionale, un tributo ai grandi dello spettacolo con i quali e per i quali ha lavorato. Ma anche uno stimolo per i giovani a rincorrere i propri sogni e un ricco album fotografico che impreziosisce una raccolta di gustosi aneddoti su volti luoghi mode del nostro passato prossimo. Tutto questo è l’agile autobiografia “Vita da impresario” (Cairo editore) che Lucio Piccoli ha scritto con Maria Grazia Brunini e che, appena possibile, sarà presentata come merita al Teatro Sociale di Busto Arsizio (nella foto in alto, Piccoli è il primo a destra con Renzo Villa e lo staff del Bingooo negli studi legnanesi di Antenna 3 Lombardia). Una celebrazione dell’autore, divenuto manager musicale e produttore televisivo di successo dopo gli esordi sul palcoscenico, per le sue nozze d’oro con la musica e il teatro, il cabaret e la televisione.

Piccoli, perché questo libro?

«Innanzitutto è per gli artisti che hanno lavorato con me, senza i quali non sarei diventato Lucio Piccoli. Sono partito che ero un pischello e sono riuscito a portare a Busto Arsizio Giorgio Gaber, poi i Nomadi, Franco Battiato e tanti altri. Ho fatto felici soprattutto tanti attori di cabaret che iniziavano da sconosciuti, da Raul Cremona a Enzo Iacchetti, a Marino Guidi. Se lavori bene, le persone accettano al telefono e ci si accorda con una stretta di mano. Sono arrivato a produrre con il regista Enzo Gatta 10 concerti dal vivo in giro per l’Italia con la Rai, che non l’aveva mai fatto, con presentatori Daniele Piombi e Pamela Prati, fino alla più grande produzione nel mio cuore che è Campioni d’Italia nel mondo, dove ho portato due premi Nobel e il presidente del Consiglio Spadolini, la Fracci, la Masina che ha ritirato il premio per il marito. Ho vinto un Festival di Sanremo e un Telegatto. Tutto questo perché ho lavorato e rischiato. Per riuscire ci vogliono competenza e fortuna».

Nei confronti di chi di sente più in debito?

«Gaber. Ma non direi che mi sento in debito, piuttosto 50 e 50: lui era giovane e aveva bisogno di bustoarsizio legnano antenna3 spettacolo piccolilavorare, io gli ho procurato tante serate e tramite lui ho poi agganciato altri nomi. I gestori dei locali, che allora si chiamavano dancing, mi chiedevano di portare Gaber, lui ha visto un pischello con tanta volontà e ha avuto fiducia in me. Poi Walter Chiari, Lucio Flauto, Gianfranco Funari: con loro il mio nome ha preso il largo. Flauto lo incontrai facendomi coraggio allo stadio Speroni, dove andava a vedere la Pro Patria in Serie A. Era un grosso nome del cinema e del teatro, gli dissi che avevo finito la stagione a teatro con la mia compagnia ed ero col culo per terra. Mi presentò a un impresario con una lettera e così feci l’avanspettacolo; quando anche questo finì la sua epoca, mi trovai di nuovo a terra. E decisi di fare l’impresario. Da Funari ho imparato molto stando con lui 7 anni in Rai. I numeri che faceva lui su Rai2 non li ha fatti nessuno. Avevamo tutti gli occhi del Derby di Milano puntati addosso: ricostruimmo totalmente il locale e vi portammo 90 artisti, tutti quelli che vi erano passati tranne chi non era più di questo mondo. Infine, i fratelli Fasano di Alassio: ai Pozzi di Loano gli ho portato grossi nomi con cui lavoravo già per i concerti, oltre alla Rai e a tremila spettatori in una sera, tutti paganti».

E in credito?

«Con tanti, ma lasciamo perdere. Nel libro non parlo male di nessuno perché non faccio pubblicità agli stupidi. Si sono comportati male ma non con me, con l’ambiente. Il pubblico è il solo che decide per un artista se va avanti o se deve chiudere, che siano attori di teatro o di cinema, cantanti o comici. Se sbagli due cose, gli impresari ti mollano e professionalmente sei morto. È la giustizia del mondo dello spettacolo».

La sua stessa vita è uno spettacolo…

«Sono stato fortunato perché sono nato negli anni 50, quando non si chiudeva la porta di casa e tutti ti davano una mano. C’erano voglia di ripartire e solidarietà. Oggi è difficilissimo, mi spiace per i giovani ma non per questo devono mollare. Questo è un mondo pieno di compromessi ma bello, dove oggi ci sono scuole di teatro, di musica, di cinema, mentre ai miei tempi non c’era niente. Ho fatto sacrifici enormi, tutti i soldi dei miei inizi di attore a teatro li spendevo in biglietti del treno per andare a Roma e presentarmi a quelli del settore».

L’Alto Milanese ha avuto una grande parte nella storia dello spettacolo nazionale: che cosa ne ricorda?

bustoarsizio legnano antenna3 spettacolo piccoli cantagiro«La mia agenzia era a Busto Arsizio in via Marsala, dietro l’Hotel Astoria. Sempre qui c’era Telealtomilanese,  e qui vicino, a Legnano, Antenna 3. Quando ne diventai direttore artistico, entravo in ufficio alle 10 del mattino e uscivo a mezzanotte. Sono rimasto molto dispiaciuto quando Antenna 3 ha chiuso. Neanche la Rai portava in studio i nomi che portavamo noi. Con Little Tony e Mario Merola dovemmo chiamare i carabinieri per mantenere l’ordine, tanta era la gente che veniva a vederli. A Busto ricordo una tappa trionfale del Cantagiro (nella foto sopra, con Gianni Morandi) e due spot girati per Carosello nelle vie del centro».

E degli anni trascorsi in Rai?

«Guardi, Funari che era romano non voleva avere a che fare con i romani. Mi dica un solo produttore che lavora in Rai che non sia romano: forse l’uno per cento. La Rai è una famiglia, se ci va mangia con i parenti, se non lo è non le aprono neanche la porta».

Facciamo un gioco: io le do una definizione e lei mi dice il primo personaggio con il quale  ha lavorato che le viene in mente. Cominciamo dal più bravo ed esemplare.

«Gliene dico due: Gaber e Chiari».

Il più capriccioso?

«Oh mamma mia… Giorgio Faletti, che stimavo e stimo tantissimo, non era capriccioso, ma bisognava parlarci molto chiaramente per convincerlo a fare una serata. Ma c’è qualcun altro al quale ho procurato l’Ambrogino d’oro e non è venuto a ritirarlo. Non lo nomino neanche».

Il più imprevedibile?

«Funari, sicuro. Dal mattino alla sera mi ha detto che lasciava la Rai per andare alla concorrenza, come se cambiasse ristorante dove andare a pranzo».

Il più permaloso?

«Potrei dire Ornella Vanoni, ma è più capricciosa che permalosa (sorride). Una volta è arrivata a Campione dal Brasile alle nove di sera, con la gente che aspettava, ha chiesto scusa per il ritardo dicendo che era passata da casa e aveva licenziato la sua tata perché sbagliava la marca della pappa da dare al gatto…  Ma anche Gino Paoli non scherza. Ricordo il suo “vaffa” dietro le quinte a Napoli quando gli è stato chiesto di fare il bis, o in un’altra sede perché alcuni spettatori non erano attenti… I loro erano bei caratterini da gestire. Per rimetterli insieme sullo stesso palco, dopo che non si parlavano da vent’anni, c’ho lavorato per mesi, poi hanno visto il cachet… coi soldi si conquista tutto».

Da ultimo, nel centenario della nascita, le chiedo qual è il suo ricordo di Felice Musazzi.

«Mi ha appena telefonato la figlia Sandra, l’ho omaggiata del libro. Ricordo che d’estate saliva sul palco da solo, senza la compagnia, con una gallina in braccio. Faceva lo stesso il tutto esaurito».

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