VISTO&RIVISTO Quando il ritmo antico rilassa e guarisce

minchella hitchcock visto rivisto

di Andrea Minchella

VISTO

NODO ALLA GOLA, di Alfred Hitchcock (Rope, Stati Uniti 1948, 77 min.).

Sì, lo confesso. Fino ad oggi non avevo mai visto “Nodo alla Gola”. Questa lacuna imperdonabile è stata colmata grazie al Coronavirus. Perché proprio in momenti come questi c’è bisogno di evadere, e non c’ è nulla di più “terapeutico” che un bel film “vecchio”, uno di quelli in cui le inquadrature, il ritmo narrativo e le voci rassicuranti dei doppiatori, teatrali e penetranti, sono gli ingredienti fondamentali per un racconto ben riuscito e per una distrazione efficace e necessaria in periodi storici difficili e complessi come quello che stiamo vivendo.

Il film, il primo a colori di Alfred Hitchcock, è un potente esperimento che ancora oggi risulta innovativo e fresco. Hitchcock in questo suo progetto ambizioso inserisce tutta un a serie di elementi che rendono la pellicola una specie di manuale basilare per chi volesse intraprendere la carriera di regista. In “Nodo alla Gola”, infatti, troviamo rinnovati elementi sia per quanto riguarda lo stile e la grammatica usati, sia per quanto riguarda i temi trattati e la storia principale su cui si poggia l’intera opera. Il film, infatti, è un concentrato di novità per l’epoca, siamo nel 1948, e le sue caratteristiche strutturali e formali lo rendono ancora oggi un riuscito ed originale “thriller”. Inoltre, il regista inglese riesce a posizionare lo spettatore dentro il lussuoso appartamento in cui si svolge la vicenda narrata. Questo meccanismo è reso possibile soprattutto dal fatto che la storia che Hitchcock ci racconta dura esattamente quanto dura la pellicola.

E dunque lo scorrere del tempo è il medesimo per i protagonisti della pellicola e per lo spettatore che, grazie alla tecnica del regista, assiste in diretta ad una cena surreale che diventa il filo conduttore dell’intero racconto. Increduli e un po’ spaventati partecipiamo ad un evento mondano che, però, nasconde un tragico e angosciante segreto cui noi, grazie alla scelta narrativa di Hitchcock, assistiamo e, dunque, ne siamo involontariamente testimoni e complici allo stesso tempo. Così l’angoscia della storia si somma alla tensione che siamo costretti a subire poiché siamo protagonisti della vicenda e corresponsabili del delitto che viene compiuto all’inizio del film.

Oltre alla moderna scelta del colore, Hitchcock decide di raccontare la storia utilizzando dieci piani sequenza di dieci minuti l’uno. Questo per dare l’impressione allo spettatore che la storia raccontata fosse in “presa diretta”, cioè ripresa senza stacchi né tagli. In realtà l’inquadratura continua senza effettivi stacchi dura solo dieci minuti, a causa della lunghezza massima della pellicola; Hitchcock supera questo problema inserendo ad ogni cambio pellicola un’inquadratura di spalle di uno dei protagonisti, così da dare l’impressione della continuità della narrazione.

Questa tecnica, tanto innovativa quanto appropriata per raccontare proprio la vicenda di “Nodo alla Gola”, è stata resa possibile grazie alla fantasiosa concezione e conseguente realizzazione del set che prevedeva pareti ed arredi mobili, così da consentire il movimento della cinepresa, all’interno dell’appartamento ricostruito, senza che vi fossero strutture fisse che potessero limitare la circolazione della macchina da presa.

Se gli aspetti tecnici furono centrali per la narrazione della vicenda, certamente anche la scelta della storia, da parte del regista, fu un aspetto inquietante e innovativo allo stesso tempo. Hitchcock, infatti, decise di trasferire su pellicola una pièce teatrale, “Rope” di Patunrick Hamilton, che aveva sconvolto l’America poiché prendeva spunto da un avvenimento di cronaca nera avvenuto nel 1924. Un bambino fu ucciso da due giovani, uniti da un rapporto omosessuale, solo per il gusto di compiere un assassinio e per l’aspetto prettamente estetico del gesto. Dunque il film tratta lo scottante tema della gratuità di alcuni omicidi, che inquieta e disorienta un pubblico abituato a trovare sempre una spiegazione plausibile dietro le azioni di efferati ed incomprensibili assassini. Anche la coraggiosa scelta del soggetto da parte del regista inglese renderà questo suo capolavoro un parziale insuccesso, poiché lo spettatore non era ancora pronto per la trasposizione di quello che successivamente diventerà uno dei temi principali di Alfred Hitchcock, ovvero la narrazione delle sfaccettature infinite della psiche umana, e dei suoi aspetti più profondi e oscuri che, spesso, prendono il sopravvento dando origine ad efferati ed inspiegabili atti criminali.

Hitchcock, infine, deve realizzare un racconto di due amanti che, a causa del codice Hays, non possono essere espressamente rappresentati come omosessuali. Il regista riesce tuttavia a dar conto del legame dei due attraverso particolari e sottili allusioni che comunque non sarebbero sfuggiti all’attento pubblico che, ormai, seguiva ogni lavoro del regista britannico.

Un film, questo, da guardare e riguardare grazie alle moderne tecniche che Hitchcock decide di utilizzare. Un esperimento riuscito che rende “Nodo alla Gola” uno dei capisaldi della cinematografia mondiale. Meglio se visto in lingua originale a causa di un doppiaggio che non, almeno all’inizio della vicenda, segue esattamente il senso della sceneggiatura originale.

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RIVISTO

PSYCHO, di Alfred Hitchcock (Stati Uniti 1960, 109 min.).

Il suo capolavoro. A 61 anni il gigante britannico gira il suo più grande successo. Un vero e proprio sparti acque. Sia per il tema trattato, tratto dall’omonimo romanzo dell’anno prima di Robert Bloch che raccontava del serial killer Ed Gein, sia per la tecnica usata per la realizzazione di alcune scene, quella della doccia sopra tutte. Con “Psycho” Hitchcock raggiunge il livello più alto delle sue produzioni. Solo “Uccelli” del 1963 si avvicinerà al successo di questo enorme e articolato progetto.

Hitchcock dirige una storia inquietante scegliendo due attori perfetti per le parti dei protagonisti: Antony Perkins impersona perfettamente il quieto e riservato Norman Bates che vive e lavora in un piccolo e umile hotel, il Bates Motel, in cui, in una notte di pioggia, arriva la bella e giovane Marion Crane, una fatale e penetrante Janet Leigh, che sarà per tanto tempouna delle grandi ossessioni del regista inglese.

Se in altri lavori Hitchcock aveva già sfiorato il tema della complessità della mente umana, qui il maestro della “suspance” ci fa assistere ad una sorta di psicoanalisi in cui ogni vicenda narrata può essere ricollegata alla infinita e oscura natura della mente umana. Hitchcock ci racconta in maniera efficace e inquietante dell’esistenza del doppio in ognuno di noi, e della violenza che ne può scaturire se la parte nascosta di noi dovesse
prendere il sopravvento.

Una lezione di cinema preziosa ed assoluta è la scena della doccia che nel film dura 45 secondi, ma che nella realtà è stata realizzata in sette giorni di lavorazione e grazie a 72 posizioni della macchina da presa. L’accoltellamento della Leigh dura 22 secondi per un totale di 35 inquadrature in cui non si vede mai il coltello. La bravura di Hitchcock risiede anche nella scelta del bianco e nero che evitava qualsiasi problemi di censura: infatti tutto il sangue che sgorga nella doccia, essendo nero, non desta alcun problema per la stringente e puntuale censura di quell’epoca.

Un classico da rivedere che non dimostra neppure un anno dei suoi 60 anni ben portati grazie alla magia ed alla intuizione magistrale di uno dei più grandi autori del ventesimo secolo.

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