VISTO&RIVISTO Matt Damon, il padre che tutti vorremmo

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di Andrea Minchella

VISTO

LA RAGAZZA DI STILLWATER, di Tom McCarthy (Stillwater, Stati Uniti 2021, 140 min.).

Il poliedrico Tom McCarthy, attore, produttore, sceneggiatore e regista, confeziona un interessante ed originale racconto su un padre, un Matt Damon mai così convincente e centrato, che cerca di ricostruire un rapporto con la figlia, incarcerata da alcuni anni in una prigione di Marsiglia.

Bill Baker, un americano appesantito da una vita che non gli ha fatto alcun sconto, è un operaio petrolifero dell’Oklahoma. Sua figlia Allison è rinchiusa a Marsiglia dove sta scontando una pena per un omicidio che avrebbe commesso nei confronti della sua fidanzata, una ragazza marocchina con la quale aveva deciso di convivere. Studentessa universitaria, grazie soprattutto ai soldi della nonna, il padre Bill è spesso in cerca di lavoro, Allison, scopriamo durante la visione del film, è probabilmente scappata da una terra che non riconosceva più come sua.

Allison, probabilmente, scappava da una famiglia complicata e da un’oppressione geografica e sociale che poteva essere ridimensionata soltanto fuggendo a migliaia di chilometri dalla piccola e anonima Stillwater. E così Marsiglia diventa per Allison quella meta salvifica che ognuno di noi cerca per trovare pace e una giusta dimensione per la nostra anima. Il bravo Tom McCarthy fa cominciare la narrazione a vicenda cominciata. La fuga verso l’Europa è già avvenuta. L’omicidio è già stato commesso. Tutto quello che è successo lo veniamo a sapere durante la narrazione. Ricostruiamo la vita di Allison e i suoi rapporti con suo padre Bill grazie al presente, agli eventi che accadono. Bill arriva a Marsiglia per incontrare sua figlia. In carcere, durante il colloquio, emerge una possibilità, seppur remota, che possa far riaprire il processo, ormai definitivamente chiuso. Ecco che la vicenda si accende. Ma non troppo.

Questo non è un film d’azione o un “thriller” da fiato sospeso. È un dramma in cui un padre si attacca a qualsiasi speranza pur di salvare la figlia da una prigionia che ritiene ingiusta ed eccessiva per una ragazza. Il cupo Bill, che risponde “sissignore” a chiunque gli faccia una domanda, rispetta la sentenza ma cerca in tutti i modi di trovare nuovi elementi che possano cambiare il percorso della pena che riserva ancora alcuni anni di detenzione per la figlia Allison. Bill sa di non essere stato un padre presente né di essere stato all’altezza di una figlia scalpitante e desiderosa di vita. Forse Bill sente il peso della condanna della figlia come un peso di cui lui, probabilmente, è quanto meno compartecipe. Bill vuole salvare la figlia perché, in fondo, vuole salvare sé stesso.

McCarthy realizza un accurato ritratto in cui ci sono realtà diverse che si contrappongono: l’anonima Stillwater e la florida Marsiglia; la cultura americana, difensiva ed esclusiva, e quella europea, inclusiva e più sobria; la figura del padre, impacciato e pieno di rimorsi, e la presenza discreta della figlia; l’istinto di Bill e la razionalità di Virgin, la ragazza francese che conosce durante il suo lungo soggiorno a Marsiglia; la durezza dell’anima di Bill e la dolcezza senza confini della piccola Maya, figlia amata di Virgine. Insomma, assistiamo apparentemente ad un film troppo fluido e forse eccessivamente lungo, in realtà “La Ragazza di Stillwater” è un interessante ritratto dell’incontro sempre possibile tra due civiltà, o due generazioni, che partono da punti di partenza diametralmente opposti ma che possono, solo grazie all’ apporto umano di comprensione, empatia e condivisione, confrontarsi e convivere arricchendo ed essendo arricchiti reciprocamente. Un film, questo, sulla preziosa e insostituibile necessità di cercare sempre un filo comunicativo con ciò che, apparentemente, ci sembra lontano e diverso da noi.

Hollywood aveva bisogno di una produzione del genere che non ricalcasse necessariamente stereotipi già presenti ma che si soffermasse su dinamiche intime e riflessioni sussurrate.

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RIVISTO

L’OSPITE INATTESO, di Tom Mc Carthy (The Visitor, Stati Uniti 2007, 104 min.).

Un potente racconto sull’accoglienza e sull’accettazione del diverso. Un Richard Jenkins epico che interpreta un docente universitario che dell’accoglienza e dell’inclusione ne fa una peculiarità esistenziale che lo arricchisce e lo migliora in maniera irreversibile.

Originale e toccante vicenda di immigrati illegali che si scontrano con una società sorda e miope in cui però l’essere umano singolo può fare la differenza e può con un piccolo gesto far cambiare drasticamente la strada verso l’accoglienza e verso l’integrazione.

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