Molestie sul lavoro. L’avvocato: “Non bisogna aver paura di denunciare”

Fabio Manfrè

LONATE POZZOLO – Violenza di genere sul posto di lavoro. La vergogna e il timore di perdere l’impiego sono spesso un freno per la vittima. Ma non mancano i percorsi sicuri, tra cui quelli legislativi, per liberarsi dal giogo del proprio aguzzino o molestatore. Strumenti a tutela delle donne, ma anche dei datori di lavori, come spiega l’avvocato Fabio Manfrè.

I casi di violenza fisica o psicologica nei confronti delle donne sui posti di lavori non sono, purtroppo, casi isolati. Quali sono le difficoltà che una donna deve subire e affrontare in caso di violenza subita da un collega o da un suo superiore?
«Paradossalmente, in questi casi, l’aspetto più difficile da affrontare per una lavoratrice è l’ignoranza. Spesso la donna che subisce molestie si trova isolata in un ambiente maschilista, dove si giustificano comportamenti che hanno invece rilevanza penale. Sotto questo profilo la vittima, per evitare di essere fraintesa dal malintenzionato, spesse volte deve modificare le sue abitudini di vita, come quello del vestiario, del trucco, del profumo etc.. Ciò che invece bisogna fare è denunciare senza remore, poiché, come vedremo gli strumenti di tutela ci sono».

La paura del giudizio, ma anche di perdere il posto di lavoro o, peggio ancora, di venire “emarginata” o non più considerata da colleghi e colleghe. Quale tra questi (o altri, se ci sono) timori agisce da freno nell’uscire allo scoperto e denunciare?
«Generalmente chi esegue molestie è un superiore gerarchico che abusa del suo potere e quindi è comprensibile che nella vittima subentri la paura di perdere il posto di lavoro; è sicuramente questo l’aspetto più comune di queste vicende. In questi casi, per superare le paure di denunciare, occorre parlarne subito in famiglia e recarsi da un avvocato per attuare una valida difesa. Tollerare questi abusi è un grave errore, poiché il rischio di subire danni psicologici irreparabili è concreto».

Spesso il molestatore si muove sul “filo del rasoio”. Quali sono i riferimenti di legge principali a tutela della donna che si trova invischiata in situazioni di molestie, discriminazioni e comportamenti a connotazione sessuale?
«In ambito giuslavoristico la tutela è anche prevista dall’art. 26 del d.Lgs. 198/2006 c.d. “Codice delle pari opportunità tra uomo e donna”, che espressamente identifica come “discriminazioni quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo. Il nuovo co. 3-bis introdotta con la Legge 205/2017, prevede, invece, una specifica tutela per il lavoratore o la lavoratrice che agisca in giudizio per aver subito discriminazioni o molestie sessuali sul posto di lavoro, sancendo che lo/a stesso/a non può essere oggetto di sanzioni, demansionamento, licenziamento, trasferimento o di qualsiasi altra misura organizzativa avente effetti negativi sulle condizioni lavorative, che sia conseguenza della denuncia stessa, e che qualsiasi provvedimento adottato nei suoi riguardi in violazione del divieto è affetto da nullità; in particolare, in ipotesi di licenziamento ritorsivo o discriminatorio e, per ciò stesso nullo, è prevista la reintegra sul posto di lavoro».

Quali sono invece le violenze di genere più diffuse sui posti di lavori?
«La modalità di agire di questi soggetti è variegata ma la più comune è quella di inviare messaggi oppure di passare all’azione con contatti fisici e/o apprezzamenti sessuali volgari attuati in modo continuativo tale da provocare nella vittima la paura di recarsi a lavoro ed iniziare a soffrire di attacchi di panico. Il diritto penale italiano non prevede attualmente per le molestie sessuali in ambito lavorativo una fattispecie ad hoc. A livello giurisprudenziale le molestie sessuali sul lavoro sono state, a seconda della gravità e delle modalità dei comportamenti molesti, sussunte in vari reati. Nei casi di molestie più gravi, concretizzatisi in toccamenti di zone erogene, la giurisprudenza ha ritenuto integrato il reato di violenza sessuale di cui all’articolo 609-bis c.p. che, è giusto sottolineare, prevede una pena da 6 a 12 anni di reclusione».

Anche il ricatto è contemplato tra le violenze di genere?
«E’ anche bene ricordare che nel caso invece in cui la molestia sul lavoro si sia concretizzata nel ricattare la lavoratrice, ponendola ripetutamente di fronte alla scelta tra il sottomettersi alle avances e il perdere il posto di lavoro, è stato ritenuto integrato il reato di violenza privata. Secondo la giurisprudenza, ai fini della configurabilità del delitto di violenza privata, non è richiesta una minaccia verbale o esplicita, essendo sufficiente un qualsiasi comportamento od atteggiamento, sia verso il soggetto passivo, sia verso altri, idoneo ad incutere timore ed a suscitare la preoccupazione di subire un danno ingiusto, finalizzato ad ottenere che, mediante tale intimidazione, il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare od omettere».

Una donna che denuncia dimostra certamente di avere coraggio. Ma quali strumenti ci sono per liberarsi dal proprio “aguzzino” e porre fine alla grave forma di oppressione?
«La vittima deve trovare dei validi alleati che la guidino nel percorso di “liberazione”; in questi casi la famiglia è molto importante nel prendere la decisione di agire e denunciare l’illecito; sicuramente l’avvocato gioca un ruolo fondamentale nella gestione della vicenda, poiché deve raccogliere le prove che possano portare all’incriminazione del molestatore; è assolutamente consigliato il ricorso ad uno psicologo che attesti lo stato di malattia della vittima. Una volta che il quadro probatorio è completo la persona molestata non avrà timore di agire».

In casi del genere il datore di lavoro può intervenire? Come? 
«Il datore di lavoro – è importante ricordare – è anch’esso vittima del dipendente infedele-molestatore ed è però responsabile del fatto illecito commesso da costui ex art 2049 cc. In tal caso, però, la sua responsabilità è solo civile e limitata al risarcimento del danno nei confronti della vittima. Ma occorre prestare attenzione anche sotto il profilo della responsabilità penale, atteso che se il datore di lavoro omette dolosamente di adottare provvedimenti a tutela della lavoratrice molestata, è configurabile in capo al medesimo un concorso nel reato e si rientra nella responsabilità penale».

Cosa dovrebbe fare un datore di lavoro per tutelare da un lato le proprie dipendenti e dall’altro anche se stesso?
«Consiglio ai datori di lavoro di creare dei comitati interni a tutela della integrità psico-fisica delle vittime di abusi e di emanare delle circolari aziendali comunicando ai dipendenti che ogni segnalazione di molestia e/o violenza sarà trattata a sua tutela e con riservatezza».