Morti all’ospedale di Saronno, la procura: «Cazzaniga sapeva di uccidere»

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BUSTO ARSIZIO – E’ iniziata questa mattina e proseguirà lunedì davanti alla Corte d’Assise di Busto Arsizio la requisitoria fiume da parte dei Pm, Maria Cristina Ria e Gianluigi Fontana, contro Leonardo Cazzaniga ea e gli altri imputati coinvolti a vario titolo nell’inchiesta “Angeli e Demoni”. Cazzaniga, ex vice primario del pronto soccorso di Saronno, in particolare sta rispondendo di quindici omicidi volontari, mentre gli altri soggetti coinvolti (ex dirigenti e medici dell’ospedale di Saronno), sono accusati di favoreggiamento e omissione di denuncia.

L’atteggiamento di superiorità

“Alla luce degli elementi – ha detto la Ria – sulla base delle perizie, la Procura ritiene che l’imputato attraverso quelle pratiche avesse voluto accelerare la morte dei pazienti”. E’ questo uno dei passaggi chiave dell’accusa che prima aveva tratteggiato anche la personalità di Cazzaniga: “A prescindere dall’assenza di specializzazioni si tratta di un medico esperto e preparato. Emerge anche il preteso senso di superiorità rispetto ai suoi collaboratori, medici e infermieri. Un senso di superiorità del quale non ha mai fatto alcun mistero. Ha denigrato spesso i suoi colleghi anche dal punto di vista etico-morale. In un altro passaggio significativo della sua audizione aveva definito i suoi colleghi come degli attendisti. Nel senso che molti attendevano l’arrivo del medico successivo per trattare il loro paziente. Con riferimento agli infermieri aveva usato termini molto dispregiativi, da incompetenti, minus habens, disorganizzati. Un medico che ostentava questa superiorità con atteggiamenti denigratori verso i colleghi. L’atteggiamento di superiorità, di denigrazione, l’uso dei farmaci, la consegna dei farmaci a persone che non erano pazienti, avveniva nella totale impunità senza che nessuno facesse nulla. All’interno dell’ospedale Cazzaniga aveva grande libertà di azione”.

Il protocollo Cazzaniga

La Procura non ha dubbi rispetto alla volontà di uccidere di Cazzaniga: “Nella propria vita privata nelle intercettazioni ambientali è emerso che si valutava la possibilità di eliminare le persone o renderle innocue”. Poi sul protocollo: “L’esistenza del protocollo – ha detto la pm Ria – è provata dall’esame dall’imputato stesso. Inoltre lui ne parlava tranquillamente anche in pronto soccorso. Secondo le testimonianze, al 118 Cazzaniga preannunciava l’applicazione del protocollo per pazienti che secondo la sua opinione erano talmente gravi che non dovevano essere neppure mandati al pronto soccorso. Il protocollo è un’invenzione del medico. Ha cercato di ricondurlo in una cosa già esistente, la legislazione palliativa”.

Il caso di Luciano Guerra

Anche su Luciano Guerra la Procura non ha dubbi: “Lo ha spinto a applicare il protocollo come avrebbe fatto per ogni suo paziente, anche se non era un suo paziente. Era in situazioni critiche e ha deciso di agire come avrebbe fatto per i suoi pazienti. C’è una perizia che parla di decesso per avvelenamento da midazolam. Luciano Guerra era un paziente gravemente cardiopatico. Quello che i periti dicono è che quel tipo di aggravamento non è spiegabile con altro che non sia l’avvelenamento del midazolam. I periti pur ritenendo le condizioni gravi di Guerra, hanno confermato che al momento del decesso non si trovava in immediato pericolo di morte: senza l’assunzione di midazolam non sarebbe avvenuta con quei tempi”.

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