Ancora una volta la lunga scia di morti sul lavoro è passata per Busto Arsizio un lavoratore di 49 anni , Cristian Martinelli, padre di due bambine di 7 e 8 anni è morto sul posto di lavoro schiacciato da una grossa fresa industriale. E’ drammatico che nonostante le solite retoriche promesse dei diversi governi a vario titolo dato in posta all’opinione pubblica si continua a morire di sui posti di lavoro.
Qualche giorno fa a Prato un’altra operaia, Luana D’Orazio, è stata schiacciata da un telaio meccanico, aveva 22 anni ed era madre di un bambino di 5 anni, anche per questo caso non ha funzionato alcun sistema di sicurezza.
Sembra di essere stati catapultati indietro nel tempo, sembra di rivedere i bollettini medici dell’Inghilterra appena inoltrata nella seconda fase della Rivoluzione industriale, quando nessun sistema di protezione del lavoro era incorporato all’interno del processo produttivo.Oggi ci si bea a parlare di fabbriche che assunto tecnologia 4.0, completamente automatizzate e robotizzate, ma è così? O, anche questo, è un altro luogo comune venduto per far passare l’idea che non esiste più il lavoro dato da “lavoratori in carne ed ossa”, che ormai si tratta di lavoratori virtuali?
La realtà a questo punto ci richiama alla sua durezza, esiste ancora un enorme massa di lavoratrici e lavoratori che operano in luoghi di lavoro, spesso e volentieri malsani, in condizione di precarietà lavorativa, senza alcun sistema di protezione nel luogo di lavoro e senza alcuna protezione contrattuale e soprattutto con interi reparti sottodimensionati, con pochi lavoratori/trici addetti e per cui con il rischio oggettivo di dare luogo ad incidenti sul posto di lavoro.
Questa pandemia, inoltre a messo in luce la malsanità presente nei reparti produttivi, una malsanità che va dalla mancanza di sistemi protezione allo stesso inquinamento presente durante la produzione stessa, per non parlare poi dei turni massacranti a cui si è sottoposti per mancanza di personale, e come spesso succede gli incidenti sono frutto di stress provocato da un eccessivo mansionario a cui i lavoratori sono sottoposti, con il rischio che al minimo errore, conseguente all’eccessivo prolungamento del turno di lavoro, il lavoratore/trice ci rimette con la vita.
In realtà si ha la sensazione di avere a che fare con un fabbrica tradizionale che impone dei ritmi massacranti e con dei livelli di sfruttamento altrettanto indicibili, e, soprattutto con una condizione di assenza di tutele dal punto di vista sindacale.
Qui, le norme date dallo Statuto dei Lavoratori non esistono o non vengono minimamente prese in considerazione, si è di fronte ad un autoritarismo capitalistico che rimanda indietro nel tempo, all’inizio degli anni ’20 del secolo XIX, con una capacità di comando nei confronti del lavoro che assume un aspetto di violento autoritarismo, il ricatto è sempre alla porta del lavoratore “ se non ti va bene te ne vai”, il che significa rimanere per strada con una famiglia da mantenere.
In questo contesto la forma del lavoro , si può dire, ha assunto questo dualismo:” lavoro senza alcuna sicurezza e bassa redditività “ da una parte e dall’altra il” licenziamento “ chiamato a piè sospinto come una spada di Damocle pendete su la testa dei lavoratori e lavoratrici.
Ciò che dà l’idea di quanto si sta vivendo nei posti di lavoro è dato dal fatto che in questo contesto la forza contrattuale data dal sindacato è pari a zero o quasi, il depotenziamento imposto allo Statuto dei Lavoratori, vedi articolo 18 a proposito del facile licenziamento , posto in essere dalle scelte scellerate del PD a guida Renzi, ha dato la stura ad un vero e proprio smontamento della forza contrattuale dei lavoratori e conseguentemente dello stesso organismo sindacale.
Si diceva prima che la realtà richiama ad un durezza, noi comunisti di questo ne siamo consapevoli e, anche in questo senso ,organizzativamente, si cerca di dare luogo a delle vere e propri cellule comuniste nei luoghi di lavoro, cellule che hanno il chiaro intento atto a dare vita un percorso formativo dei lavoratori per quanto riguarda di diritti del lavoratori nel processo produttivo, ma, e ciò non è poco, c’è anche l’intento, al contempo, di dare inizio ad un processo volto a porre le basi di una formazione collettiva della coscienza sociale, della necessità della ripresa della lotta per la difesa diritti nei luoghi di lavoro, quella che una volta, con un’altra dicitura si chiamava, “ processo di formazione della coscienza di classe”.
Cosimo Cerardi, PCI di Varese
Drammatico, incidente sul lavoro a Busto Arsizio: muore operaio di 49 anni