Parlare a vanvera e la poesia di Trilussa

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Gian Franco Bottini

di Gian Franco Bottini

Il tema era quello dei controversi poteri della rete, dei social, dell’informazione incontrollata, dell’esuberanza dialettica, del populismo mediatico e di quello che stà dietro al variegato mondo dell’informazione che di questi tempi è in continua e spesso disordinata evoluzione.

I nostri interlocutori erano il Pensionato, in questa circostanza più orientato all’ascolto che non al dialogo, e il Professore, un anziano docente di sicuro buonsenso ma che quando parla pare sempre farlo ex-cathedra. Giusto per capirci: i due rappresentano la parte più “intellettuale” del gruppo dei nostri simpatici amici Umarell che, ritenendo l’argomento in  questione  “trop dificil”, avevano preferito  dedicarsi ad imprecare sull’andamento della Borsa, dei BTP, dello spread e a litigare fra loro per divergenze politiche.

Il Professore era stato categorico:” La potenza della rete ci ha colti tutti impreparati e senza regole; una volta, con i giornali la radio o la tv, i media fornivano  l’atto finale che informava la gente su decisioni  prese o fatti avvenuti. Oggi è la rete che crea le situazioni, perché tutti possono accedere e basta uno che la spari grossa che si crea una specie di incontrollabile valanga di imprevedibili conseguenze; pensate alle Borse e ai Mercati. Una “bufala”, solo perché messa in rete, per tantissime persone è già una verità. Guarda cosa  combina  il ministro  “Tavernelli”……  “Toninelli” avevamo prontamente corretto.

Il Pensionato assentiva e noi stessi non potevamo che dichiarare di essere d’accordo aggiungendo però che  la rete rappresenta una di quelle rivoluzioni che cambiano il mondo  e che i primi a dover trovare le giuste  regola dovrebbero essere proprio coloro che hanno ruoli di grande responsabilità e che della stessa ne  fanno spesso scempio. E’ innegabile – avevamo aggiunto – che comunque con  la rete e i social molti possono dire la loro ed è  aumentata la democrazia nell’informazione.

“E già – era intervenuto il Pensionato -però ades se una matina el Trump l’è incazà con la sua dona, el fà un  twitter intant che l’è là setà sul water e el dichiara la guera alla Corea……a me mi sembra un po’ troppo!”

Lo sguardo del  Professore ci era sembrato di puro compatimento: ”Troppi parlano e solo per quello si sentono importanti, ma  non funziona così”.  E, pregandoci di apprezzare quanto fosse attuale quanto ci stava per dire,  aveva cominciato a declamare  una poesia di Trilussa , antica di quasi cent’anni, che qui cerchiamo di tradurre dal romanesco nelle parti più interessanti: “Una Gallina disse al Pappagallo/ Tu  forse parlerai senza riflettere / ma oggigiorno la bestia che sa mettere/quattro parole assieme stà a cavallo/ ti basta aprir bocca e darle fiato/ per mette sottosopra il vicinato. Io invece che faccio un uovo al giorno/ e Dio sa che sforzo personale/ io che tengo di dietro un capitale/ non ho nessuno che mi venga intorno/ non ho nessuno che m’apprezza e che mi loda/ la mercanzia che mi esce dalla coda. Tra poco, già lo sento, farò un uovo/ ma visto che sto popolo di matti/ preferisce le chiacchiere a dei fatti/ io lo voglio scocciar mentre lo covo/ Anzi, per far le cose con giudizio/ lo tengo in corpo e chiudo l’esercizio”.

“Capita l’antifona?” era stata la domanda del Professore. Il Pensionato, molto divertito, aveva voluto dimostrare di aver capito tutto: “ La gallina sono gli italiani che lavorano e che dopo tante chiacchiere un giorno o l’altro se stufen de fassi  fà el mazzo. Del resto anche noi dalle nostre parti diciamo: L’è mei un andà , che cent’ andem!. “

Il Professore fino ad allora aveva filosofeggiato  ma ora si capiva che voleva affondare: “Il monito della filastrocca vale soprattutto per i politici, a tutti i livelli,  anche se quei  poveretti subiscono proprio sulla rete ingiurie e offese che rappresentano  la peggior espressione di questa libertà e democrazia  mediatica.  Le cosa si possono dire anche con garbo e stile senza per questo perdere in incisività. Io, per esempio, spesso non condivido tutto il diarroico eloquio dei nostri governanti, ma per dichiarare il mio dissenso non andrò mai più in là di invitarli “a non parlare a vanvera”.

Ci sembrava che il Professore stesse un po’  troppo scivolando in una melliflua  retorica: “Professore, però non esageriamo; non è che “poffarbacco” o “perdindirindina” sia liberatorio e soddisfacente come una  sana  imprecazione, che quando ci vuole ci vuole!”​Il Professore ci aveva sorriso soddisfatto come il gatto che ha mangiato il topo: “Amico mio; visto che siamo in tema la invito ad andare sulla rete  e cercare il significato di “ la vanvera” e  poi mi dirà se  la mia espressione, oltremodo civile ed  accettabile, non serve a  segnalare ai nostri governanti, in modo chiaro ed  inequivocabile,  il mio giudizio sulla loro  straripante comunicazione”.

Abbiamo seguito il suggerimento, siano andati sulla rete  in una  curiosa caccia al tesoro e all’indirizzo www.merdasser.it/La%20vanvera/La%20vanvera%20it.htm abbiamo trovato la sorprendente conferma alle parole del Professore. Lasciamo ai nostri incuriositi lettori l’ onere di documentarsi in proposito, riconoscendo al  Professore  di averci fornito una lezione di  stile.

 

Parlare vanvera bottini – MALPENSA24