Eh no, caro Sgarbi, non si dicono le parolacce

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Vittorio Sgarbi portato fuori di peso dalla Camera dei deputati

di Ivanoe Pellerin

Cari amici vicini e lontani, sono certo che le immagini dell’onorevole Sgarbi allontanato dalla Camera dei deputati per aver offeso alcune colleghe parlamentari, dopo aver lanciato la propria accusa nei confronti della magistratura, abbia sorpreso soltanto alcuni. È nota la propensione di Sgarbi per l’eccesso verbale, l’anticonformismo, l’avversione verso il “politicamente corretto”. D’altronde sono altresì noti il valore, la lucidità, la grande cultura e la grande capacità interpretativa ed espositiva del nostro nei confronti dell’opera d’arte. L’aspetto “volgare” dell’esclamazione ha fatto passare in secondo piano il messaggio forte che in seguito è stato impugnato da alcune parti politiche, e cioè l’avvio di una commissione d’inchiesta parlamentare che indaghi sulla evidente degenerazione di una parte della magistratura. Effettivamente si tratta di una richiesta assolutamente straordinaria nel panorama politico italiano pur così (a mio parere) degradato.

Ho detto degradato, ma in ogni caso anch’io ho sorriso di fronte a tanta provocazione. E no, caro Sgarbi, le parolacce non si dicono, non si dicono le parolacce in un ambiente così istituzionale come la Camera e non si dicono le parolacce in presenza di illustri colleghi e colleghe. Accidempoli! Questo no! Non si può! Fuori dall’aula, perdincibacco! Fuori! Però il nocciolo della questione è rimasto grosso e grasso al centro della scena. E non è una novità.

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Ivanoe Pellerin

Cari amici vicini e lontani, confesso di amare e di aver amato molto la figura di un grande politico del nostro tempo, Francesco Cossiga. Nel 1991 nel messaggio alle camere del 20 luglio, Cossiga affermava: “Il problema della giustizia è centrale nella vita della comunità nazionale; non è temerario parlare di una grave crisi nell’amministrazione della giustizia. Il CSM si pone sulla materia della giustizia come legislatore in luogo del parlamento. Un conto è l’indipendenza della magistratura, un conto la sua soggezione alla legge. Il magistrato non è un marziano, alla sua indipendenza corrispondono altre garanzie”. Ed in seguito Cossiga delineò anche una riforma della giustizia che definì con ironia “utopica”. Nel libro “Discorso sulla giustizia” edito da Liberilibri nel 2008, sono indicati tre caposaldi: terzietà del giudice, non obbligatorietà dell’azione penale, giurisdizione disciplinare estratta a sorte. Come si vede il presidente emerito sapeva molto bene che il CSM non è un buon organo di autogoverno della magistratura poiché, pur dichiarandosi indipendente e non politico, risulta al contrario politicizzato ed esso stesso fonte di correnti e di scelte politiche.

Inoltre Francesco Cossiga affermava che: “io sono stato uno studioso di diritto parlamentare, ministro, presidente del senato, presidente del consiglio, presidente della repubblica, e infine senatore a vita; ebbene queste esperienze mi hanno insegnato almeno tre cose, che quello della giustizia è il più grave dei problemi del nostro paese, che il problema della giustizia ancor prima che giuridico, tecnico e politico è un problema di ordine culturale e direi addirittura di etica pubblica; è un problema che attiene alla coscienza , al senso di dignità del cittadino, al suo amore per la libertà
e che il principale ostacolo di questo problema è la pervicace ostinazione di una parte dei magistrati nel concepire il proprio ufficio non come servizio ma come potere.”

Eh no, caro Sgarbi, non si dicono le parolacce. E tralasciamo che l’Associazione Nazionale dei Magistrati pensi e agisca come se fosse un partito politico, e tralasciamo che il Consiglio Superiore della Magistratura, concepito come il massimo baluardo del servizio pubblico della giustizia e non come privilegio degli operatori togati della giustizia, sia quasi un’appendice dell’ANM, e tralasciamo che ci siano delle conversazioni fra i magistrati in cui si affermi che si il Ministro dell’Interno del tempo, Matteo Salvini, ha ragione ma ora bisogna opporsi, e tralasciamo che la giustizia sia utilizzata come un braccio armato della politica per eliminare gli avversari politici. Se
ce ne fosse bisogno anche Sabino Cassese, giurista, accademico italiano e presidente emerito della Corte costituzionale, persona mite ma rigorosa, ha affermato che le procure sono il quarto potere della nostra repubblica.

Eh no, caro Sgarbi, non si dicono le parolacce. Cari amici vicini e lontani, ricordo che nella VI satira di Giovenale quando lo scrittore latino dice: Quis custodiet ipsos custodes? (con banale traduzione, chi controlla i controllori?) si riferisce ad una evidente e difficile situazione poiché, quando la questione morale non riguarda solo i politici ma compare anche fra i magistrati e addirittura nel CSM, allora a chi si dovrà fare riferimento? David Ermini che di quell’organo è il Vicepresidente ha pronunciato parole ferme e rigorose: “Gli eventi di questi giorni hanno inferto una ferita profonda e dolorosa; o sapremo riscattare con i fatti i discredito che si è abbattuto su di noi o saremo perduti.”

Eh no, caro Sgarbi, non si dicono le parolacce. Lunedì 29 giugno, Piero Sansonetti, direttore del Riformista, un giornale decisamente avverso a Forza Italia, nella trasmissione Quarta Repubblica condotta da Nicola Porro, riferisce uno scoop nel quale viene pubblicata una conversazione riservata fra Amedeo Franco, uno dei magistrati del tribunale di Cassazione che condannò a suo tempo Silvio Berlusconi, e lo stesso uomo politico. In questa conversazione si fa riferimento ad un plotone d’esecuzione “politico” già preparato che avrebbe agito su “pressioni dall’alto”. Cari amici vicini e lontani, persino Matteo Renzi ha affermato: “Nessuno può permettersi il lusso di far finta di niente”. Cosa si vuole di più? Dobbiamo forse pensare all’elezione del prossimo presidente della Repubblica?

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