Milano, l’Europa e Napoleone. Fu vera gloria?

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Miano, l'Arco della Pace. Simbolica unione con la Francia

di Ivanoe Pellerin

Cari amici vicini e lontani, vi invito ad allontanarvi per un momento dalle crude note dei contagi e dal discusso elenco dei vaccini e persino dalla difficile opera del governo Draghi. A duecento anni dalla scomparsa, credo valga la pena ricordare un personaggio eccentrico (per quel periodo storico) tra i più letti, scritti, valutati, criticati. Dicono che, dopo Gesù, sia la personalità più descritta e commentata della storia. E con molta ragione. Quella di Napoleone è stata davvero un’epopea straordinaria, uno dei destini più stupefacenti. Un’ascesa rapida come quella di Alessandro o di Cesare ma con meriti certamente maggiori, poiché Alessandro era figlio di re e Cesare apparteneva ad una famiglia patrizia.

Il cinque maggio di duecento anni fa, Napoleone Bonaparte, il corso di Ajaccio che di fatto fondò la “grandeur” della Francia, generale, console e poi imperatore, “dalle Alpi alle Piramidi”, che ebbe il coraggio di credere nella sua volontà di conquistare il mondo, salì sull’Olimpo dei condottieri, cadde dalle stelle nella polvere e morì solo ed esiliato nella sperduta isola di Sant’Elena nell’Atlantico. “Fu vera gloria?” e non se lo chiese solo Manzoni ma ancora oggi un grande numero di storici, filosofi, studiosi e dotti di varie discipline. Manzoni scrisse il “Cinque maggio” in soli tre giorni, la Francia ai giorni nostri arriva a dubitare del personaggio in onore del P.U.C. (Pensiero Unico Corretto), in Italia è il momento giusto per esprimere un pensiero riconoscente a questo gigante.

L’Europa, la Francia ed anche l’Italia devono molto a quest’uomo. Milano gli deve molto. Il 15 maggio 1796 il giovane generale, “profilo magro e scavato, sguardo freddo negli occhi grigio-azzurro, capelli lunghi sulle spalle e volto sulfureo”, fa il suo ingresso in città. Nove anni dopo, il 26 maggio 1805, fra le bellissime navate del Duomo gremito di folla, ricevendo la corona di ferro, pronunciò la celebre frase che risuonò per lungo tempo: “Dio me l’ha data, guai a chi la tocca”.

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Ivanoe Pellerin

Il trionfale Arco della Pace in stile neoclassico di Luigi Cagnola del 1807, posto in capo alla strada del Sempione, simbolica unione con il territorio francese, l’Anfiteatro (oggi l’Arena), il Foro Bonaparte, il cuore della moderna Milano secondo il suo creatore Ampollini, la rivisitazione in chiave neoclassica del Castello con la già nascente visione romantica della città che si andava affermando ed un colonnato che avrebbe dovuto collegare il centro di grandi edifici, di botteghe e negozi ai Navigli, tutto sembrava andare nella direzione di una Milano al centro della nuova Europa napoleonica. La Milano illuminista, attraversata dalle idee rivoluzionarie che segneranno l’inizio della fine dell’”ancien régime” in tutta Europa, vedrà comunque germogliare le prime idee unitarie, dapprima in seno ad una élite di intellettuali e poi in tutto il popolo della penisola. Il regno d’Italia non era lontano e con esso l’idea stessa della nostra nazione.

Brera fu l’istituzione che trasse i maggiori benefici dal governo del grande generale corso che la voleva trasformare nel Louvre d’Italia, un museo aperto a tutte le persone di qualsiasi estrazione sociale ed anche la Pinacoteca deve l’appellativo di “museo nazionale” proprio a lui. Mi fa piacere sottolineare come la Biblioteca Braidense, dove si conserva l’autografo del Cinque maggio, ha aperto in questa data la mostra: “La Milano di Napoleone: un laboratorio di idee rivoluzionarie. 1796 – 1821”. Documenti e autografi di quella stagione, libri dei vari “grandi” dell’epoca che i milanesi ricordano come Vincenzo Cuoco, Melchiorre Gioia, Mario Pagano, Vincenzo Monti, Cesare Beccaria ed altri. Insomma un vasto parterre di personalità che diedero vita allora ad un’intensa attività culturale, straordinaria per quel periodo, centrata sulle idee illuministe e sull’uguaglianza dei diritti. I ritratti di Napoleone imperatore, di Ugo Foscolo e quello di Alessandro Manzoni sono un’adeguata cornice.

Coloro che sono rimasti affascinati o irritati dal personaggio non smetteranno di porsi le solite domande. Bonaparte ha ucciso o salvato la rivoluzione? Il Primo Impero fu un periodo di prosperità o di miseria per la Francia? Le guerre napoleoniche giovarono o affossarono le fortune delle idee del 1789? Napoleone aprì davvero lo sguardo sull’idea di un’Europa come un’unica nazione o ebbe solo un’ambizione conquistatrice? Possiamo davvero riguardare quel periodo storico come l’anticamera dell’Europa moderna oppure è solo un’illusione? Tutte queste domande continueranno ad essere poste e varie e diverse saranno le risposte.

Certamente un uomo complesso, certamente una figura difficile e controversa ma Milano non sarebbe quella che è e persino l’Europa non sarebbe tale senza di lui. Nella biblioteca storica di famiglia vi sono alcune centinaia di libri su questa straordinaria figura della quale mio padre era un grande estimatore e che, inevitabilmente, mi è molto vicina. “Fu vera gloria?” Io non ho dubbi. Io sto dalla parte di Napoleone.

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