Valentino, la moto e l’orgoglio di essere italiani

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di Ivanoe Pellerin

Cari amici vicini e lontani, è vero che molte celebrazioni diffuse sanno molto di retorica vecchia e stantia ma quella recente intorno ad uno dei più grandi campioni dello sport italiano ha un buon sapore, ha il colore rosso bianco e verde, ha il profumo delle nostre case, ha la memoria delle nostre tradizioni, delle nostre consuetudini, dell’amico ritrovato. Mi riferisco a Valentino Rossi.

Nessuno più di lui ha saputo entrare nelle nostre case, ha saputo accendere un entusiasmo diffuso, spontaneo, genuino, facile e per questo sempre molto molto bello. È un momento difficile per Valentino, detto Vale, l’italiano più veloce del mondo, l’italiano che corre a trecento all’ora a pochi centimetri dalla moto che lo precede ma più spesso che lo insegue, che corre a trecento all’ora con il gomito che striscia sull’asfalto, con gli occhi incollati sul cordolo, sulla curva che verrà, sull’orizzonte che arriva, che corre incontro al sogno di tutti, di vincere, di essere il primo, di dimostrare capacità, destrezza, intelligenza. Si, perché per conseguire i risultati di Vale occorrono molte particolari abilità ma soprattutto intelligenza, quella spontanea e immediata, che permette di affrontare e risolvere in tempi rapidissimi situazioni a rischio altissimo, quella che dipende dal neurone a forma di una moto.

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Ivanoe Pellerin

Il palmares di Vale è straordinario: 115 successi, 9 titoli mondiali vinti in quattro classi differenti. La prima vittoria mondiale a Brno nel 1996, e ancora nel 1997 al Mugello con la bambola “Claudia Shiffer” per fare il verso, e poi nel 1999 al GP del Brasile il titolo nella classe 250 con la scenetta dell’angelo custode, e per il settimo titolo mondiale della classe regina del MotoGP nel 2005 Vale con Biancaneve e i sette nani, e nel 2015 l’ultimo podio in Argentina con la maglia di Maradona. A Valentino piace scherzare, piace ridurre le grandi cerimonie a incontri con gli amici, piace moderare gli straordinari successi a vittorie quasi alla portata di tutti. Se leggete le sue interviste pare l’amico appena lasciato al bar, l’uomo che vincitore declina la vittoria ad una buona prestazione o perdente ammette gli errori e gli sbagli, ma senza troppa debolezza o depressione. Sempre ironico e autoironico non trascende nella propria affermazione e non denigra mai gli avversari. È soprattutto questo che lo fa grande sportivo e grande uomo.

Valentino ha rappresentato l’Italia che corre a perdifiato incontro al futuro, l’Italia di Nuvolari, quella cantata da Lucio Dalla, l’Italia della Ferrari e della Maserati, l’Italia che vola nello spazio con la Cristoforetti, l’Italia che negli anni ’60 ha costruito l’autostrada del Sole e che nel 2020 ha realizzato il ponte di Genova in 12 mesi circa, l’Italia ottimista, produttiva, vivace e veloce, l’Italia dei nostri nonni e dei nostri giovani, l’Italia di tutti. E tutti conoscono Valentino dalla portinaia al direttore di banca, dallo studente liceale al professore dell’università, dal postino al benzinaio. Sempre di buon umore, sempre sorridente (a volte a denti stretti), sempre pronto alla battuta, qualche volta goliardico, è stato in questi ultimi venticinque anni, certamente non facili per la nostra nazione, il volto buono e giovane, anche a quarant’anni, dell’Italia che vuole vincere e che non vuole sottomettersi alle sventure, con tutte le virtù e i vizi (c’è stato un inciampo fiscale, mai perdonato) dell’italiano medio.

Cari amici vicini e lontani, Vale ha portato lo sport motociclistico nelle case degli italiani che è stato vissuto, non solo nel distretto motoristico emiliano, come qualcosa di autenticamente nostro, come una passione che ha contagiato il grande pubblico. Dopo Tomba il circo bianco ha perso il suo più straordinario attore e mattatore e ha perso lo smalto che lo caratterizzava. Mi spiacerebbe che succedesse la stessa cosa al circo Barnum del motomondiale GP, ma di certo ricorderemo le tribune colorate di giallo, il numero 46 ostentato sui caschi ovunque, dai lunotti delle macchine alle carrozzine per infanti, agli scooter e ai giubbotti portati da giovani e da meno giovani, mostrato persino davanti alla porta d’uscita del Truman Show, e le carnevalate del vincitore che facevano il giro del mondo.

Sono un pilota e lo sarò per sempre. Non sono triste ma dispiaciuto sì. Mi mancherà alzarmi e allenarmi ogni giorno per un obiettivo: vincere. E poi l’adrenalina delle gare e quel malessere due ore prima del via.” È difficile per chi ha vissuto su una giostra di emozioni, di stress, di eccezionalità, di straniamenti e di smarrimenti pensare ad una vita “normale” e ad una prossima vita tranquilla. Ma anche in questo Vale ha le idee chiare: “È stato tutto grandioso, mi sono divertito moltissimo. È stato un percorso lungo e indimenticabile. Ogni volta che guardo i volti dei ragazzi del mio team vedo i nostri successi e la nostra fatica. E la mia vita. Penso al futuro … “

Grazie Valentino per il sogno che ci hai regalato, per averci consentito di sentirci orgogliosi e fieri di essere italiani, per aver portato pistoni e cilindri nelle nostre case e per averci fatto cogliere l’aspetto umano, straordinariamente umano, di quella incredibile invenzione che è la moto. Per questo le parole di Pirsig possono risuonare senza freni nel cuore di ciascuno di noi: “Il Buddha, il Divino dimora nel cambio di una moto o nei petali di un fiore.” Grazie Vale e à bon fin toujours.

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