Pro Patria: vedi Napoli e poi (non) muori

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Patrizia Testa

Per Busto Arsizio, la Pro Patria non è soltanto un fatto sportivo. E’ parte integrante dell’identità cittadina, più ancora delle ciminiere che la identificano come antico presidio industriale, e più ancora dei bruscitti che le regalano una parvenza di leggerezza culinaria rispetto all’austerità bustocca. Insomma, la Pro Patria è un pezzo di storia della città. Persino scontato ricordarlo a chi, a Busto Arsizio, è nato e abita. Così che la squadra finisce sempre per fare notizia, soprattutto in questi ultimi anni di cambiamenti e rovesci societari, di precipizi e rinascite non soltanto sul versante calcistico.

Vero, lo stadio fatica a riempirsi, anzi, a volte è desolatamente semivuoto. E la colpa non è esattamente del Covid, perlomeno non lo è stato nel recente passato e non lo è nel presente. C’è una disaffezione verso i gloriosi colori biancoblù, generata da svariati motivi, interni ed esterni. Che però non intaccano i significati valoriali ai quali facevamo cenno. Quelli, sia chiaro, rimangono intangibili.

Ma qualcosa sfugge agli stessi tifosi, che in questi anni ne hanno viste di ogni, persino l’avvicendarsi di avventurieri ai vertici della società, che ne hanno minato la credibilità. Poi, Patrizia Testa (doveroso riconoscerlo) ha restituito dignità e solidità alla Pro Patria. Diciamolo pure con un velo di retorica: l’ha salvata dal baratro mettendo mano al portafoglio, il suo. Finché non ha fatto capolino la politica con le sue opacità. E il sereno degli inizi si è trasformato nella inevitabile ridda di voci, pettegolezzi, annunci e smentite: la presidentessa si è presentata alle elezioni. E ha ceduto, sulla spinta dell’incompatibilità, la sua creatura. Una scelta personale legittima e incontestabile, se non fosse che ci pare insostenibile l’idea che nessuno l’avesse avvertita dell’ostacolo dell’incompatibilità tra la carica di consigliere comunale e quella di presidente di una società convenzionata col Comune. Nessuno è così sprovveduto, soprattutto quando attorno ci sono certi marpioni, o che si credono tali, lesti a tirare le file.

Non scherziamo: sull’affaire Pro Patria non ce la raccontano giusta o, a essere benevoli, non ce la raccontano tutta. Se è vero che chi mette i danèe decide le mosse, rimane il fatto che un patrimonio immateriale di una città come una squadra di calcio non può essere trattato come si tratta una compravendita privata. Soprattutto se sullo sfondo si muove la parte pubblica, dentro o contigua a Palazzo Gilardoni. E ci siamo capiti. Anche perché non c’è niente da capire se non il problema della trasparenza rispetto ad azioni che coinvolgono indirettamente la comunità.

Ma la trasparenza non è una qualità degli attuali gestori della macchina pubblica, il cui motto è: meno si sa, meglio è. Così che le fumisterie producano congetture o, peggio, sospetti. Il resto riguarda il futuro stesso della Pro Patria, i suoi nuovi padroni, ai quali – fino a prova contraria – riserviamo fiducia e dei quali, per ora, si sa poco o nulla. Se non la loro provenienza: Napoli. Città straordinaria, ricca di cultura, storia e intraprendenza. Una certezza nell’incertezza. Quasi a voler esorcizzare certi aforismi, uno per tutti: vedi Napoli e poi muori.

È Domenico Citarella il nuovo presidente della Pro Patria “napoletana”

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