«Quattro chilometri di inutile ferrovia non rilanciano Malpensa in crisi»

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Ultimamente abbiamo assistito alla presa di posizione delle categorie economiche della provincia di Varese a favore della realizzazione del collegamento ferroviario Gallarate-Malpensa, che andrebbe a distruggere definitivamente una porzione di suolo, suolo assai raro. Qualcuno dovrebbe prendere atto di ciò che è successo nell’ultimo anno a causa della pandemia ancora in corso e alle sue conseguenze sul trasporto aereo, che fa fatica a uscire dalla crisi, richiede tempi lunghi, come affermato dagli stessi vertici di SEA. Si potrà parlare di una minima ripesa solo nel 2024 , con una pesante ricaduta occupazionale (erano 40.000 i lavoratori, compreso l’indotto). Stupisce sentir parlare i settori economici di sviluppo sostenibile, a meno che non si intenda “sostenere” l’attuale sistema all’italiana, superato dagli eventi.
Del Recovery Fund parlano già tutti, anche se a tutti gli effetti fino ad oggi non si è visto un euro; si vuole vendere la pelle dell’orso prima di averlo catturato. Una grossa fetta della torta andrà indubbiamente alle imprese per il rilancio dell’economia italiana, ma ci sono dei parametri ambientali, dovuti all’emergenza climatica che l’Unione Europea ritiene inderogabili e che dovrebbero orientare il flusso di questi investimenti. Nella nostra provincia, invece, la nostra classe economica e politica dimostra per l’ennesima volta la sua provincialità. Come si può pensare che il collegamento T2-Gallarate possa rilanciare un’economia in crisi visto che questo collegamento di quattro km è inutile. Lo dimostra l’Analisi Costi/Benefici del Politecnico di Milano, ma altrettanto devastante per i boschi e la brughiera. La provincia di Varese risulta la quarta provincia italiana per consumo di suolo.
Il gioco vale la candela? Capiamo che dopo 20 anni di discorsi basati sull’ipersviluppo di Malpensa adesso non si può più pensare diversamente, ma a questo punto una pausa di riflessione è d’obbligo. Ci si domanda se sia il caso di spendere 250 milioni di euro per un’opera non voluta dal territorio, o piuttosto destinare i fondi a supporto dell’occupazione fortemente a rischio.
Nessuno è contrario al trasporto su ferro, che ridurrebbe il traffico su gomma in un territorio fortemente inquinato e vicino al collasso ambientale, con ricadute sulla salute dei cittadini. I dati del periodo del bridge parlano chiaro: gli utenti hanno preferito l’uso del trasporto su gomma, in particolare quello privato.
Perché ritornare a sperperare milioni di denaro pubblico per una infrastruttura come Malpensa che in quest’ultimo anno ha dimostrato la sua fragilità con migliaia di lavoratori in cassa integrazione e con gli aerei a terra invece di avere il coraggio di pensare ad uno sviluppo economico diverso e più integrato sul territorio. Ricordiamoci i 100.000 lavoratori previsti della Bocconi, ma mai realizzati. Malpensa dopo l’operazione Bridge del 2019 aveva raggiunto 28.800.000 passeggeri senza ovviamente che ci fosse la T2-Gallarate.
Le merci possono entrare a Malpensa, ma anche uscire e una concorrenza straniera mediante la grande distribuzione, l’e-commerce e altre forme di commercio potrebbero essere una sfida pericolosa per il
nostro mercato e la nostra indebolita economia provinciale, una sfida che forse non saremmo in grado di sostenere.
Inoltre la diffusione della pandemia dimostra che c’è una correlazione con certi inquinanti, soprattutto pm10 e pm2,5 che l’aeroporto contribuisca a produrre con il suo traffico aereo infine la nostra provincia si attesta al secondo posto dopo Milano per contagi da corona virus nel luogo di lavoro. Sarebbe meglio che queste associazioni imprenditoriali si interessassero di più alla prevenzione e alla salute nei luoghi di lavoro piuttosto che applaudire all’ennesima cementificazione del nostro territorio

Il Direttivo UNI.CO.MAL.

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