Quel treno per l’aeroporto che inquieta la Svizzera

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E poi abbiamo da ridire sugli svizzeri. A volte, è vero, fanno gli antipatici con noi italiani, ma, a volte, una qualche ragione ce l’hanno. Prendiamo la vicenda del treno per Malpensa, quello che parte da Mendrisio e, passando per Varese, Gallarate e Busto, arriva in brughiera. Linea nuova di pacca, entrata in funzione una settimana fa. Lorenzo Quadri, consigliere nazionale ticinese, casacca della Lega rossocrociata, la ritiene una ciofeca, termine napoletano per definire una schifezza.
Quadri, magari un po’esagera. Una ciofeca proprio no, un servizio poco funzionale forse sì. Perlomeno se ci riferiamo al tempo che serve per percorrere la quarantina di chilometri di strada ferrata tra il confine e le stazioni dei due terminal aeroportuali. Più o meno il doppio di quanto occorre per compiere lo stesso tragitto con la viabilità ordinaria, a bordo di un autobus. Per questo, l’esponente leghista chiede che non venga soppresso il servizio su gomma da Lugano e Malpensa. Per questo e anche per altro. Anzi, soprattutto “per altro”.
In gioco c’è il confronto tra la funzionalità delle ferrovie elvetiche e le nostre. Non esiste partita, benché in questi ultimi tempi anche la proverbiale efficienza svizzera in tema di ferrovie abbia cominciato a dare segni di cedimento. Poca roba rispetto a quanto succede qui da noi, nella pragmatica Lombardia, non altrove in giro per la Penisola. Il recente report della Regione sulla situazione dei treni parla di cancellazioni delle corse raddoppiate e puntualità crollata negli orari di maggiore affluenza, quando i passeggeri sono pendolari e non possono permettersi ritardi per raggiungere i luoghi di lavoro o di studio. Eppure, Trenord ha fatto circolare più convogli nel tentativo di limitare disservizi e disagi. Che invece pare siano aumentati in parallelo all’aumento del numero delle corse. Basta un dato: ogni giorno, su 2100 treni programmati, ne vengono soppressi in media un centinaio, il doppio rispetto all’anno precedente.
Perché ciò accade non si sa. O forse si sa ma non si sbandiera ai quattro venti. Guasti, scarsa manutenzione, personale in alcuni casi poco disponibile, complessità della gestione della rete. Per dirla in un altro modo, lo scenario non depone affinché gli svizzeri guardino a noi con fiducia nella collaborazione ferroviaria transfrontaliera. Nel conto, non va dimenticato, bisogna aggiungere la scarsa sicurezza, problema nel problema. Vero, nei giorni scorsi è stato annunciato il potenziamento della videosorveglianza nelle stazioni e l’installazione di tornelli. Sui treni viaggiano guardie giurate e personale formato per garantire tranquillità ai passeggeri. Basterà? Di più: l’affollamento delle carrozze in certi orari le trasforma in scomodissimi, vergognosi, inaccettabili “carri bestiame”.
A complicare il quadro di riferimento c’è il passato, ci sono le lungaggini nel completamento della Arcisate-Stabio: ci abbiamo messo un paio d’anni in più degli svizzeri. Giratela come volete, ma si è fatta una figuraccia. Da queste premesse, Lorenzo Quadri lancia le sue perplessità. Poi gli svizzeri ci stanno sullo stomaco, e noi stiamo sullo stomaco a loro. Reciproche, storiche contrarietà. Tra ragioni e torti da soppesare e dividere. Tranne che in materia di treni.  

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