M24 TV- La rabbia dei commercianti in piazza a Varese: «Fateci lavorare»

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VARESE – «Vogliamo tornare a vivere e a lavorare. Adesso basta. Così non possiamo più andare avanti». A parlare è Gino Savino, noto ristoratore di Busto Arsizio. Da lui e da Massimo Rogora, ambulante del settore abbigliamento è partita l’idea di portare in piazza la voce dei tanti commercianti che da un anno a questa parte hanno pagato un dazio pesante alla pandemia. E lo faranno con le associazioni di categoria: «Vero – dice Gino Savino fuori onda – abbiamo dovuto un po’ forzare la mano in questa direzione, perché pensiamo che in questi mesi la nostra voce non si sia fatta sentire in maniera decisa nelle sedi istituzionali e politiche».

La protesta arriva a Varese

I commercianti e gli ambulanti di Busto e della Valle Olona si troveranno domani mattina alle 8.30 in piazza del Mercato a Busto Arsizio. E poi raggiungeranno il capoluogo, in piazza Monte Grappa. Dove ad attenderli ci saranno gli altri colleghi operatori del commercio. «Ci aspettiamo una piazza con tanti esercenti – dice Gino Savino – che abbiano voglia di dialogare e parlare delle tante difficoltà che abbiamo affrontato e stiamo affrontando. Gli incidenti di Roma? Lasciamo perdere. Non è quello che vogliamo. A noi interessa tornare a lavorare il prima possibile, in massima sicurezza e come stanno facendo molte altre attività».

Apro anch’io. No tu no

Gino Savino, vice presidente vicario di Fipe, si fa portavoce anche di altre categorie commerciali, che «come noi sono rimaste inspiegabilmente chiuse. Non capiamo perché, ad esempio, gli autogrill possono stare aperti, i centri commerciali e la grande distribuzione hanno abbassato la soglia dei controlli delle temperature. Non capiamo perché la gente può acquistare un paio di mutande, ma non i pantaloni o le scarpe». E sui ristoranti: «Mi chiedo se sia più pericoloso un pranzo in famiglia allargata o tra amici o una pizza o una cena in un ristorante con distanze e regole rispettate?».

Incassi azzerati. Non le tasse

Tornare subito a lavorare per dare ossigeno ai cassetti, ma soprattutto per salvare molte attività commerciali ormai sull’orlo del collasso. «Perché i ristori, diciamolo, non ristorano come sarebbe necessario. E le scadenze fiscali le dobbiamo onorare fino all’ultimo centesimo. In questo anno di Covid non abbiamo lavorato, ma la Tari, ad esempio la dobbiamo pagare. Con uno sconto minimo e che non abbatte comunque i costi. Soprattutto se si sommano gli affitti e le bollette dei consumi. Non è giusto che, e faccio un esempio, su una bolletta dove il consumo effettivo è stato di mille euro, devo pagarne più di 2 mila di imposte. Defiscalizzare per un periodo le nostre attività sarebbe un passo più importate del ristoro. E questa è una delle misure che chiederemo».

L’intervista