Referendum come fuga dalle responsabilità

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di Gian Franco Bottini

Referendum alle porte e previsioni di astensionismo ai minimi storici. Lo sottolinea anche Luigi Patrini in un intervento, che abbiamo molto apprezzato, proprio su Malpensa24. Forse è tempo di verificare se l’istituto del referendum, definito dai sacri testi la massima espressione della democrazia, non sia invece diventato il segnale tangibile della crescente ”imperfezione” della nostra. Spulciando in uno studio condotto da un ente di rilevanza mondiale, che valuta “l’imperfezione” delle diverse democrazie, ci si rende conto che la nostra è nel tempo scivolata ai più bassi livelli europei . Non certo per la negazione dei principi fondamentali, che nel nostro Paese ci paiono saldi, ma per la crescente mediocrità di quella sessantina di parametri utilizzati per effettuare le valutazioni; in prima linea l’assetto politico, che risulta fra i più critici se non scadenti.

Osservando la nostra storia si vede che dal dopoguerra al 1995, una quarantina di referendum raggiunsero il quorum di partecipazione richiesto, con percentuali altissime all’inizio, a calare nel tempo. La gente, allora, si espresse massicciamente su temi di non poca rilevanza: divorzio, aborto, finanziamento ai partiti, riduzione di Ministeri ed altro ancora. Disertò unicamente quelli sulla caccia e fu un forte ma inascoltato richiamo che i cittadini fecero ai politici, invitandoli a ritornare a fare il loro mestiere anche di fronte ad argomenti spinosi per i loro interessi di bottega! Dal 1997 in poi, una ventina di altri referendum sono andati invece regolarmente “buchi”, salvo quello sul nucleare per il quale, oggi ancor più di ieri, varrebbe un onesto ripensamento.

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Gian Franco Bottini

Ci pare interessante affiancare i diversi comportamenti di questi due periodi referendari ad altre situazioni concomitanti. Nel primo periodo citato, gli elettori appartenevano a quelle generazioni che avevano conquistato a caro prezzo una democrazia della quale volevano difendere e godere i frutti ; la politica si esprimeva allora con valori forti e riconoscibili (erano i tempi di Peppone e don Camillo!) Nel secondo periodo cominciarono invece a prevalere quelle generazioni di elettori che davano pigramente per scontati i vantaggi della democrazia e il nostro sistema politico, dopo lo sfascio di “Mani pulite”, aveva perso i forti valori di riferimento e si affidava ad improvvisazioni partitiche con pretese miracolistiche.

Difficile quindi non correlare il grado di accettazione dell’istituto referendario da parte della gente a quello della politica e difficile non presumere che, visto dalla parte del cittadino, il referendum, da forte strumento propositivo qual era , sia via via scaduto a strumento quasi difensivo, destinato a correggere e a supplire l’inefficienza della politica, la quale, ancor peggio, lo ha spesso trasformato in un mezzo di propaganda. E allora, come si suol dire, una domanda sorge spontanea: a che servono oggi costosi e mal sopportati referendum se non a “farsi del male” da soli, prendendo a schiaffi la nostra democrazia?

La democrazia è per sua natura rappresentativa e se la rappresentatività ritornasse ad essere basata su portatori di valori e non su show-man televisivi, anche i referendum probabilmente ritornerebbero ad essere considerati dalla gente “una cosa seria” e un diritto, oltre che un dovere, al quale non rinunciare. Qualcuno potrà a questo punto eccepire: “vuoi vedere che adesso è colpa nostra!” Non sappiamo se si possa definire una colpa. Di sicuro la possiamo chiamare “responsabilità”. Responsabilità nel momento topico dei nostri diritti: quello della elezione dei nostri rappresentanti. Il peccato originale da rimuovere è quello che reiteriamo da qualche tempo a questa parte. Quello di quando disertiamo le urne o, peggio, di quando votiamo assecondando , con superficialità, più lo scontento e la speranza del miracolo che non il ragionamento; salvo poi pentirci amaramente senza però riconoscere le nostre responsabilità, il che ci riporterebbe sulla buona strada.

E allora, dati i contenuti non certo facilmente intelligibili ma sicuramente estremamente delicati, quale senso, se non elettoralistico, hanno i referendum proposti per il 12 giugno da una politica (Salvini) che oggi, di fronte al probabile flop, fa di tutto per sfuggirne la paternità? Concludendo. Se vogliamo che il referendum possa ritornare ad essere il nostro massimo diritto , non ci resta che tornare a fare la nostra parte nel momento di indicare i nostri “rappresentanti”, per aiutare la nostra democrazia a ritornare ad essere meno “imperfetta” di quanto oggi lo sia.​

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