Ridare fiducia alla politica nel tempo della post-verità

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Il ministro Di Maio saluta i Cinque Stelle

di Luigi Patrini

La sfiducia nei confronti della politica cresce quotidianamente, per questo non è stato difficile prevedere che il voto referendario di domenica 12 giugno sarebbe stato un flop: lo avevano presagito anche i protagonisti della politica, soprattutto quelli che avevano promosso la campagna referendaria, che si sono defilati e hanno fatto di tutto perché gli elettori non riflettessero sulla stupidità dei quesiti proposti. offerti ad una platea di cittadini molto critici verso la gestione della Giustizia nel nostro Paese. Critici per ragioni diverse da quelle proposte dai referendari, per questo credo che l’unica persona che ha “vinto” veramente sia stata il Ministro Marta Maria Carla Cartabia che, dopo le tante chiacchiere di diversi suoi predecessori, è riuscita ad avviare e a dare un minimo di concretezza al processo di riforma della Giustizia italiana. Piccoli passi, certo, ma meglio delle tante chiacchiere e dell’inconcludenza del recente passato. L’esito di un referendum così poco “partecipato” è stato pertanto del tutto inutile: nessuna spallata è stata data e, comunque, il processo riformatore sta cominciando a ripartire, non certo per l’esito del referendum (il quesito sulla abrogazione della legge Severino ha avuto successo per il 54 % dei voti. Ma il 54% sul 21% degli elettori, cioè per meno del 10% degli elettori potenziali!).

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Luigi Patrini

Quello che non sta ripartendo è il processo di rinnovamento della politica: tra un anno dovremmo avere un nuovo Parlamento; ma non se ne parla molto. Chissà con quale legge elettorale voteremo, chissà se si riuscirà ad esprimere ancora le preferenze sui candidati, chissà quali partiti e quali raggruppamenti saranno ancora presenti; è davvero difficile fare previsioni: le crescenti tensioni internazionali rendono ancora più complesso il quadro politico italiano. Il maggior raggruppamento eletto, i 5Stelle, si sta sfaldando: ne deve ringraziare molti dei suoi esponenti, a partire da Luigi Di Maio, un leader che si è dimostrato un semplice e inconsistente “prodotto pubblicitario”, come lo definì Stefano Parisi; il PD rimane l’unica realtà politica nazionale che ha un minimo di organizzazione, ma nei suoi ideali sembra aver smarrito quella identità sociale che attraeva le masse operaie e popolari per sostituirla con la tutela dei nuovi “diritti individuali”, diventando quella sorta di Partito radicale di massa che, già mezzo secolo fa, Augusto Del Noce aveva profetizzato, rivisitando le teorie gramsciane dell’egemonia culturale. Certo l’on. Peppone non si riconoscerebbe più in questi ultimi epigoni di Togliatti e di Enrico Berlinguer.

Nel Centro destra le cose non vanno meglio: la politica ondivaga e populista di Salvini sta creando grandi tensioni nella Lega, che vede crescere con preoccupazione i consensi per il partito “alleato-e-rivale” di Giorgia Meloni; Berlusconi è ormai fuori gioco e il suo partito continua a perdere pezzi: non ha mai fatto un serio tentativo di dare vita ad una classe politica solida e capace di costruire un partito identitario e popolare. Ha avuto qualche merito, certo: aver fatto sbandare la gioiosa macchina da guerra di Occhetto, ma eravamo ancora nel millennio scorso; poi le cose sono cambiate e ben presto è cominciato il penoso declino…

Non mancano persone valide nel nostro Parlamento, ma sembrano sempre meno incidenti e capaci di imprimere una svolta significativa, circondati come sono da una pletora di persone tese ad assicurare continuità ai propri benefit più che impegnate nella ricerca di un vero Bene comune.

Ci mancano due cose fondamentali: anzitutto un maggior numero di persone più credibili e serie, che abbiano una vera disponibilità a servire la comunità di cui sono parte e, in secondo luogo, occorre ricostruire i partiti, insostituibili “strumenti” intermedi tra i cittadini e le loro libere aggregazioni da una parte e, dall’altra, le Istituzioni poste al servizio del bene di tutta la comunità.

I partiti, per la verità, non mancano, ma sono partiti di plastica, cioè deboli e poco caratterizzati dal punto di vista valoriale, perché appiattiti sul loro leader e sul suo cerchio magico. La prova? Eccola: un tempo si identificavano per i riferimenti valoriali: partito comunista, socialista, liberale, democristiano, repubblicano, monarchico…; oggi invece li identifichi per il nome del leader scritto nel simbolo! Un tempo i partiti avevano “correnti” interne, che si riferivano a sensibilità diverse dentro i Valori di fondo riconosciuti da tutti: l’esempio più classico è forse la DC: c’erano dorotei, morotei, forze nuove, basisti, andreottiani, e altri, ma erano uniti intorno ad un simbolo valoriale accettato da tutti, che era sintetizzato nello scudo crociato con la scritta “libertas”. La DC, più che un partito, fu una “federazione” di partiti, una federazione interclassista. Questo è forse il modello di partito a cui guardare: un valore forte, che attira varie sensibilità e che in quel valore si riconoscono. Questo è, forse, il meglio per il nostro futuro. Oggi però c’è un dramma “culturale”, che è alla base della crisi della politica: si fa fatica a riconoscere che c’è una verità vera e non opinabile. A fronte di questa certezza c’è lo sfaldamento prodotto dal dilagare del relativismo nichilista, che nega l’esistenza stessa di una Verità di Natura che non è né opinabile né negoziabile.

Qui sta la grande menzogna e la contraddizione di fondo: chi nega l’esistenza di una Verità, afferma che è vero che la verità è opinabile. Così pensando si autocondanna alla menzogna: se è vero che tutto è relativo, deve riconoscere che anche la sua tesi è opinabile, perché se tutto è relativo, è relativo e opinabile anche che tutto sia relativo.

C’è chi vuole convincerci che questo sia solo un gioco di parole. Non è vero: questo è il vero dramma del nostro tempo, del tempo della post-verità. Se non c’è un bene e un male che siano identificabili, il bene diventa una opinione. Ma la verità non è democratica, perché la verità non appartiene a chi risulta vincente in un sondaggio d’opinione. Putin è l’aggressore, anche se in un sondaggio fatto in Russia vincessero quanti sostengono – con lui – che l’aggressore è stata l’Ucraina. Che il bene e il male non siano tutti da una o dall’altra parte è vero, ma che non sia stata l’Ucraina ad invadere la Russia è altrettanto indiscutibile.

Il riconoscimento che c’è la verità è la vera premessa per un serio rinnovamento della politica. Anzi della “Politica”.

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