Rinascita varesina, provincialismo bustocco

varese busto futuro
Davide Galimberti e Emanuele Antonelli

Con gli anni si impara a non cedere ai facili entusiasmi. Non sempre, è vero, si riesce a imporre la ragione, ma quando sulla scena compaiono pubbliche amministrazioni e, con esse, la politica, lo sforzo è minimo. In questo senso ci sembra doveroso tenere i piedi per terra di fronte alle notizie dell’immobiliarista australiano pronto a versare milionate in quel di Varese. Detto questo, allo stato non abbiamo motivo di credere che il tycoon straniero stia bleffando, come purtroppo è già capitato con altri personaggi proprio nella Città Giardino. Soprattutto non pensiamo che una certa Varese, a cominciare dal ministro Giancarlo Giorgetti, oggi uno degli uomini più potenti ed esposti nel contesto nazionale, abbia messo improvvidamente la faccia in conferenza stampa, all’annuncio dell’impegno di Ross Pelligra per riannodare i legami col glorioso passato nel basket e per investire in diverse infrastrutture sportive.

Però, a quanto si sa in via ufficiale, tutto sulla parola. Proprio qui s’impone la prudenza, benché il composito quanto autorevole parterre dell’altro giorno a Palazzo Estense induca a supporre che ci sia qualcosa di più delle chiacchiere. Qualcuno, in modo enfatico, parla addirittura di rinascimento varesino. Diciamo che se alle promesse corrispondessero presto i fatti, saremmo di fronte a un deciso rilancio della città. Che è già cominciato da tempo, attraverso interventi importanti, il cui elenco spazia dai nodi viabilistici, al comparto delle stazioni, a largo Flaiano, a piazza Repubblica, all’ex caserma Garibaldi, al palaghiaccio, a una serie di altri progetti avviati, da avviare o conclusi. Per dirla in un altro modo, il famoso e abusato “deserto attrezzato” di Indro Montanelli ci sembra un’immagine di un’altra epoca, che va sbiadendo. Con o senza l’imprenditore che arriva dall’altro capo del mondo.

Tutto questo, merito di chi? La risposta è soggettiva, ma all’amministrazione civica di Davide Galimberti va riconosciuta, quanto meno fino a prova contraria, una buona capacità operativa. A dare indirettamente ragione a Galimberti ecco il suo collega bustocco, Emanuele Antonelli, quando in un discorso, in occasione della patronale della sua città, di fronte alle autorità locali, afferma che “le parole incantano, i fatti restano”. Soprattutto a Varese. A Busto, invece, sono quasi vent’anni che si cerca senza risultati di risolvere il vergognoso problema del palaghiaccio rimasto incompiuto, di riqualificare l’ex calzaturificio Borri, di mettere mano ad alcuni edifici di valore storico diventati fatiscenti e finanche pericolosi per l’incolumità pubblica. Per non parlare del Campus, mega impianto forse proposto dal Gatto e la Volpe di collodiana memoria, “venduto” dal Comune come il fiore all’occhiello del futuro sportivo e sociale bustocco, miseramente naufragato per l’incapienza economica che faceva da sfondo all’intera operazione. Sulla quale, manco a dirlo, è calato il silenzio istituzionale.

Questa è Busto oggi, dove, sempre il signor sindaco, in funzione della sindrome del complotto, si lancia, a suo dire, contro le “delazioni sui social e le fake news” e dà dei provincialotti a chi si permette di criticare Palazzo Gilardoni e il suo cerchietto magico di portaborse e lacchè. A fronte, sostiene, delle “tante eccellenze bustocche”. A noi pare che in questo contesto Varese, scelta non a caso dal Paperon dè Paperoni australiano, stia bagnando il naso a Busto Arsizio, che di medaglie ne può vantare parecchie, ma sono tutte o quasi medaglie del passato. Che non fanno testo se comparate alla necessità di buttare uno sguardo concreto al futuro, con una visione di città che si affranchi finalmente dal provincialismo vero, quello di una certa politica. Che non dimora a Varese.

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