Sudafrica e Covid, la fiamma del negazionismo

IL PRESIDENTE DELLA CORTE SUPREMA SUDAFRICANA CONTRO IL VACCINO

di Davide Agnesi

Lo scorso 10 dicembre, durante il suo intervento all’ospedale di Tembisa a Gauteng, il presidente della Corte suprema sudafricana, Mogoeng Mogoeng, ha criticato fortemente il vaccino per il Covid-19 lanciandosi in una preghiera dal sapore negazionista contro i vaccini “prodotti dal diavolo”.

Il giudice sudafricano ha infatti tuonato: “Se c’è un qualsiasi vaccino che è del diavolo, destinato a infondere il triplo sei – 666 – nella vita delle persone, destinato a corrompere il loro DNA, Signore Dio onnipotente, sia distrutto dal fuoco nel nome di Gesù“.

Esternazione forte e a dir poco singolare in questa fase della storia del mondo sconvolta dalla pandemia.

Non è tuttavia la prima volta che un membro della classe politica sudafricana prenda un abbaglio su questioni importanti relative alla salute pubblica. Nel 1999, in Sudafrica era ormai scemato l’entusiasmo portato dalla presidenza Mandela e dalla fine dell’apartheid; il Paese era flagellato dalla disoccupazione e dalla corruzione e cosa più grave deteneva il primato mondiale per numero di casi di Aids.

Alle elezioni aveva vinto il cinquantasettenne Thambo Mbeki, ex attivista anti-apartheid e uno dei due vicepresidenti sotto la dirigenza Mandela. Sin da subito, il neoeletto presidente aveva assunto una posizione molto critica riguardo uno dei farmaci più efficaci per la cura dell’Aids, l’Azt, eliminandolo dal piano quinquennale anti-Aids in nome della sua presunta tossicità. In realtà il farmaco avrebbe permesso di combattere la trasmissione del virus tra madre e figlio al momento del parto e avrebbe potuto evitare il contagio di 35 mila bambini.

Il presidente in seguito aveva condiviso una posizione ancor più radicale, allineandosi a teorie scientificamente superate. Infatti Mbeki affermava non esistesse correlazione tra il virus dell’Hiv e l’Aids, anzi sosteneva che quest’ultima fosse causata esclusivamente da uno stile di vita sregolato e dall’uso di droghe sintetiche.

Nel gennaio del 2000 Mbeki creava il Sanac (South african national aids council), un Consiglio con la funzione di trovare una strategia per combattere l’epidemia. Sarebbe stata un’idea vincente, se composto da medici, virologi e attivisti. Il presidente nominava invece due guaritori tradizionali e varie celebrità rivendicando una “via africana” per risolvere il problema utilizzando, ad esempio, come proposto dal ministro della Sanità, Tshabalala-Msimang, “rimedi naturali come olio d’oliva, patata africana, aglio e limone”. Nel programma governativo si affermava: “L’aglio crudo e la buccia di limone non solo danno una bella pelle ed un bell’aspetto, ma proteggono anche dalle malattie”.

Per anni Thambo Mbeki aveva cercato di ostacolare la distribuzione dei farmaci antiretrovirali, affermando che la maggiore causa di morte in Sudafrica fosse la povertà nonostante i 4,3 milioni di cittadini malati di Aids.

La cecità del Presidente, secondo una ricerca svolta dall’Università americana di Harvard, ha contribuito a provocare almeno 330 mila morti inutili allo schiudersi del XXI secolo: “È stato un decennio buttato. Abbiamo distrutto gli anni tra il 2000 e il 2008 a causa dell’ostruzionismo politico”,  spiega Mark Heywood, cofondatore della Treatment action campaign, un gruppo di attivisti che per molti anni ha rappresentato la principale fonte di informazione sull’Hiv in Sudafrica, negli anni bui di Mbeki. Questa situazione si è risolta solo nel 2009, quando è stato eletto alla presidenza il sessantasettenne Jacob Zuma che si è impegnato da subito e seriamente a combattere l’epidemia.

Il ricordo di questi fatti, accaduti solamente una ventina di anni fa, è però ancora fresco. L’opinione pubblica sudafricana in questo momento è spaccata in due di fronte al negazionismo di Mogoeng, come riportato dal quotidiano nazionale Daily Dispatch.

Un problema, questo, sfortunatamente non confinato al solo Sudafrica.

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