The Crown e la condanna dell’apartheid

NEL 1985 MARGARET THATCHER, LA LADY DI FERRO, SI SCONTRO' CON LA REGINA ELISABETTA

di Emma Brumana

La quarta stagione della serie The Crown ha debuttato sulla piattaforma Netflix lo scorso 15 novembre e, attraverso la figura di Margaret Thatcher, ha dipinto il quadro politico nazionale e internazionale della nazione di Sua Maestà durante gli anni Ottanta.

Margaret Thatcher, interpretata da Gillian Anderson, è la protagonista assoluta dell’ottavo episodio intitolato 48 a 1. Lo sceneggiatore Peter Morgan tratteggia l’incontro dei membri del Commonwealth nel 1985 alle Bahamas.

All’ordine del giorno la discussione rispetto alle sanzioni economiche, considerate necessarie per combattere il regime di apartheid, e aprire una fase di trattative con la maggioranza nera del Sudafrica. 48 membri sono favorevoli nel perseguire una linea dura, mentre la Thatcher sostiene che pesanti sanzioni danneggerebbero il commercio britannico. Per questo motivo la Lady di Ferro accetta di firmare l’accordo solo quando la parola “sanzioni” viene cambiata con “segnali”, indebolendone l’efficacia.

Questa scelta è la causa di un acceso scontro tra la regina Elisabetta – interpretata da Olivia Colman – e la Thatcher: la sovrana crede che le sanzioni siano necessarie per combattere la segregazione e per mantenere unito il Commonwealth. La stampa britannica evidenzia il sostegno della regina per le azioni contro il regime dell’apartheid, mettendone in discussione l’apoliticità.

La fiction ci porta prepotentemente nella storia dell’ultimo ventennio del secolo scorso. In quel periodo il regime segregazionista sudafricano è uno dei temi più dibattuti e controversi a livello internazionale: la segregazione è chiaramente anacronistica ma funzionale all’economia e al commercio.

Dall’altra sponda dell’Atlantico, infatti, il presidente americano Ronald Reagan intreccia una solida partnership con il governo sudafricano, noncurante delle sanzioni internazionali approvate dalle Nazioni Unite. In ogni caso, la voce di denuncia del movimento anti-apartheid non resta inascoltata: nel 1986 il Congresso approva il Comprehensive anti-apartheid act.

È chiaro che i tempi sono maturi e verso lo scadere degli anni Ottanta Gran Bretagna e Stati Uniti intraprendono, in alternativa alle sanzioni, il cosiddetto “constructive engagement” che osteggia il regime di apartheid attraverso il ritiro degli investimenti.

L’isolamento del Sudafrica e del governo dell’oltranzista afrikaner Pieter Botha diventa definitivo con la fine dei due mandati presidenziali di Reagan nel 1989 e le dimissioni della Thatcher nel 1990.

Il cambio generazionale all’interno del National party afrikaner, rappresentato dal nuovo presidente in carica Frederik de Klerk, e la scarcerazione di Nelson Mandela nel 1990, avviano il processo di transizione dal regime segregazionista alla democrazia.

Nel 1994 si assiste alle prime elezioni libere del Sudafrica che vengono vinte dall’African national congress e Nelson Mandela, chiamato dal suo popolo Madiba, diventa il primo presidente nero del Sudafrica.

Tra Madiba ed Elisabetta II nasce un rapporto di rispetto e di amicizia al punto tale che sembra che solo il leader africano sia stato l’unico a chiamare la sovrana per nome.

Lo stesso Nelson Mandela parlerà della mancata efficacia delle sanzioni. In seguito alla sua liberazione gli viene chiesto se un embargo economico da parte dell’intera comunità internazionale avrebbe potuto velocizzare la fine dell’apartheid. Lui risponde: “Oh, senza alcun dubbio”.

L’episodio di The Crown evidenzia la conflittualità tra gli interessi economici dei governi e la moralità delle loro azioni. Questo dualismo è rappresentato nell’acceso dibattito tra Margaret Thatcher ed Elisabetta II. Mentre il primo ministro britannico ritiene che l’economia non possa essere influenzata da questioni sociali, la sovrana considera di primaria importanza la condanna di un sistema iniquo e ingiusto che fa del colore della pelle la possibilità di vivere una vita degna e tutelata dalle istituzioni.

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