Ucraina, effetto collaterale: il giornalismo di qualità

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di Massimo Lodi

C’è un effetto collaterale della guerra in Ucraina: la riscossa del giornalismo. Quello storico, d’alta qualità, praticato sul campo. Da cronisti di solida competenza, dispendioso coraggio. Sino a poche settimane fa erano avamposti d’un potenziale esercito di reporter, ora se ne ingrossano le file. La forza transnazionale dell’informazione non profitta della tecnologia per lavorare comoda; l’adopera per servire de visu e al meglio chi legge, guarda, sente.

È la riscoperta (1) dell’orgoglio d’appartenenza a una svillaneggiata categoria: basti pensare a cosa i politici, molti e certi politici, dicono dei giornalisti. È la riconquista (2) d’un bastione della civiltà, il bene prezioso dell’opera professionale di uno resa a tutti. Chi è il giornalista se non l’occhio, la voce, il sentiment di quanti verranno a sapere grazie a lui ciò che mai riuscirebbero da soli? L’inviato speciale corre in singolo, ma veste la maglia pluralista d’una squadra, avverte il dovere del gioco d’insieme, lo anima la passione civile prima che il gusto della narrazione.

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Massimo Lodi

Laggiù all’Est le firme belliche ci mettono la vita, mica la faccia. Che già è tanto. Senza di loro saremmo al buio comunicativo. Facendoci opinioni sbagliate, fors’anche mendaci, sull’accaduto. A pagarne il prezzo, i valori fondanti dell’occidentalismo: libertà, pace, democrazia. Avvertenza. Il giornalista rivela, diffonde, mette nel circolo popolare una visione soggettiva. L’obiettività tout court non esiste. L’onestà intellettuale sì. E su questa va tarato il giudizio del lettore, ascoltatore, spettatore. Come fidarsi del nostro testimone fra tank, bombe, missili; morti, feriti, macerie; disperazione, sofferenza, dolore? Accendendo l’interruttore dell’empatia. Roba semplice, tasto automatico, reazione di pelle. Diamo retta a quel che suggerisce il cuore e andiamo dove ci porta. Viva le persone, viva il documentarsi sul posto, viva la garanzia delle face-news . Le notizie verificate in loco. Non giudicatelo un romanticume da reduci della carta stampata. In fondo – anzi: in principio – siamo tutti giornalisti. Consumiamo di giorno in giorno l’avventura umana. Osserviamo, valutiamo, riferiamo. Ergo: non ci è estranea l’arte d’individuare lo spirito giusto che muove il professionista con l’elmetto.

Nessuno ha la verità nello zaino camouflage , ma tendervi è una vocazione bene individuabile. La possiedono i missionari, e non esageriamo a pescare la parola: missionari davvero, questi corrispondenti. Oggi a mezzo della tastiera di cellulare/ipad/pc, a suo tempo di Remington oppure Olivetti, preferibilmente lettera 22. Montanelli che, tenendola sulle ginocchia, ne batteva i tasti dalla Finlandia invasa da Stalin è ritratto in una leggendaria foto. Sono degne d’accostamento le immagini dei post Montanelli contemporanei, che digitano e microfonano e vìdeano dall’Ucraina invasa da Putin. Ah, questo nostro sofferto, onorato, esemplare mestiere. Quando decide d’esser tale, rivoluzionando la percezione di massa.

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