I medici di base (non) vanno alla guerra

vaccinazioni covid medici base

Affrontiamo un argomento sensibile, di quelli che rischiano di provocare reazioni a difesa della categoria interessata, che si considera intoccabile. In questo caso la categoria dei medici di base, chiamata a partecipare alla battaglia contro il Covid-19, a volte dalle retrovie. Senza per questo dimenticare quanti di loro, al contrario, hanno pagato un prezzo altissimo, addirittura con la vita. Questo, però, se richiama in molti casi addirittura un’abnegazione professionale che sconfina nell’eroismo, non giustifica chi, tra i medici di medicina generale, preferisce combattere la guerra al virus dalla fureria. Diciamo subito che nessuno chiede loro di diventare degli eroi, sarebbe sufficiente che svolgessero i loro compiti con diligenza e con un minino di sacrificio che vada oltre, date le circostanze, l’ordinaria amministrazione, seppure impegnativa anche a causa di incombenze che trasformano i camici bianchi in burocrati esposti addirittura a conseguenze penali.

Alle corte. Sabato, in molti Comuni del Varesotto è stata organizzata la vaccinazione domiciliare di quei pazienti allettati che non possono raggiungere i centri vaccinali. Un servizio, anzi, un dovere che chiama in causa proprio i medici di famiglia. Chi meglio di loro conosce, o dovrebbe conoscere, le singole realtà cliniche dei loro assistiti? Chi meglio di loro può, appunto con uno sforzo aggiuntivo benché su base volontaria, collaborare concretamente ad immunizzare anche queste persone? Le cronache parlano invece di una partecipazione tiepida, di un interesse relativo rispetto a un’esigenza collettiva imprescindibile, che dovrebbe mettere in campo tutte le forze disponibili. Risultato: per decine e decine di questi pazienti, tra i più fragili e quindi maggiormente a rischio, non c’è stata alcuna vaccinazione. Dovranno aspettare l’intervento delle Usca e delle Ats di riferimento. Attesa inaccettabile rispetto all’urgenza di mettere tutti in sicurezza.

Non tocca a noi esprimere giudizi, nonostante il sottofondo di amarezza rispetto a un’operazione dalla quale ci si aspetta la partecipazione massiccia proprio dei medici di base. Il problema tocca da vicino la cosiddetta medicina territoriale, sotto accusa soprattutto in Lombardia. Alla quale la Regione ha più volte assicurato a parole che metterà mano, risolvendo un problema enorme e datato. Avete provato a rivolgervi in questi mesi ai medici di famiglia? Non generalizziamo, per carità, ma bene che vada la visita è telefonica, si dialoga con le mail (per chi le conosce), non tutti ricevono i pazienti nel loro ambulatorio, fino al punto che un laureato in medicina si riduca a mero compilatore di ricette.

Possibile? Possibilissimo, ma nessuno si prende la briga di sollevare a fondo la questione. I medici di base sono appunto una categoria forte, contrattualmente non rispondono a Palazzo Lombardia e possono, volendo, mettere in crisi l’intero sistema sanitario. Fino al punto che c’è chi gira la testa dall’altra parte anche nel pieno di un’emergenza come l’attuale. E se qualcuno eccepisce su questa diffusa deresponsabilizzazione, sottolineando il fatto che certi comportamenti professionali degli stessi medici contribuiscono a ingolfare i pronto soccorso e non solo, subisce la controffensiva di una categoria che una volta era ritenuta nobile quanto indispensabile: i vecchi medici condotti avevano coscienza piena della loro missione, che andava oltre le regole di un semplice mestiere, per manifestare valori etici superiori. E non si dica, per favore, che sono cambiati i tempi, le esigenze, le competenze e le comodità: sarebbe una scusa irricevibile in questo terribile momento di pandemia.

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