Varese, badanti “schiave”: Pagavano per poter lavorare. Completamente in nero

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VARESE – Nove ordinanze di custodia cautelare eseguite all’alba di oggi. Quattro persone in carcere, cinque agli arresti domiciliari. Le accuse sono pesanti: caporalato e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Fulcro dell’indagine, condotta dal nucleo di polizia economico-finanziaria della guardia di finanza di Varese e coordinata dalla procura di Varese c’è una delle figure professionali ad oggi molto presente nelle case degli italiani. Quella della badante. Al vertice del sodalizio criminale smantellato c’erano due donne: una russa e un’ucraina che dopo essere arrivate in Italia e aver praticato la professione “sul campo” si sono elevate in grado. Sino a gestire un gran giro di connazionali costrette, letteralmente, a “pagare per lavorare”. Sino a 700 euro per iscriversi all’associazione “che avrebbe occupato le badanti”. Le donne agli aguzzini dovevano pagare anche l’affitto per vivere in alloggi in stato di assoluto degrado.

Tutto attraverso internet

Le indagini sono partite nel 2018 quando una badante-schiava, con problemi di salute, aveva denunciato lo sfruttamento a suo carico ai finanzieri. L’inchiesta ha permesso di smantellare un gran giro di donne sfruttate attirate in Italia con la promessa di un lavoro sicuro, attraverso siti internet, e poi inserite in un giro di badanti in nero. Le badanti “illegali” venivano messe a lavorare senza alcuna garanzia al servizio di anziani residenti in Lombardia, tra Varese, Milano e Como e in Piemonte, in particolare in provincia di Torino. Il tutto in violazione di ogni normativa sul lavoro: zero contributi, niente sicurezza, igiene, nessun orario e stipendi assolutamente inadeguati. L’organizzazione aveva il suo fulcro nel sito internet, riconducibile alle due principali indagate, Bada Bene, attraverso il quale venivano reclutate le malcapitate che erano poi costrette a lavorare come schiave. Irregolari in Italia, dove sarebbero state attirate con l’inganno, le donne non potevano fare altro che abbassare la testa e ubbidire. Agli indagati è contestato il reclutamento di aspiranti badanti di nazionalità ucraina, russa o bielorussa (nel solo periodo ottobre/dicembre 2018, sono state impiegate oltre 50 donne, la maggior parte irregolari sul territorio nazionale), la gestione delle iscrizioni a pagamento all’associazione, mediante con versamento di una quota, in contanti, di euro 600 (oppure di euro 700,00 in due tranches da 350 euro, ma, in questo caso, gli indagati requisivano forzatamente il passaporto delle aspiranti badanti, fino a quando il debito non veniva saldato), la gestione delle telefonate ricevute dai potenziali clienti, fornendo spiegazioni in ordine alle condizioni lavorative da sottoporre alla badante. Gli indagati fissavano anche incontri con i clienti accompagnando le aspiranti aspiranti badanti al colloquio di lavoro, favorendo l’incontro con i possibili datori. Gli indagati fornivano anche alloggi, in condizioni degradanti previo pagamento di un canone giornaliero di affitto, tra i 5 e gli 8 euro, in attesa di un colloquio di lavoro.

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