La Busto del “ghe pensi mi”

busto palaginnastica opere pubbliche

La vicenda del palaginnastica di Busto Arsizio, arenatosi per l’ennesima volta nelle secche burocratiche e politiche che assediano il progetto, testimonia una volta di più le difficoltà nel nostro Paese a realizzare opere pubbliche. Scopriamo l’acqua calda, si dirà. E’ vero, ma stavolta scopriamo anche come certe scommesse amministrative non si possono più fare sull’onda del “ghe pensi mi”. Troppe le insidie e i tranelli che si frappongono tra l’avvio della procedura e la realizzazione dell’intervento, quasi gravasse una maledizione che, in special modo a Busto, impedisca di raggiungere l’obiettivo prefissato. Se non ricordiamo male, l’ultimo intervento pubblico di sostanza in città riguarda le famose o famigerate passerelle dei Cinque Ponti, intervento fra l’altro inutile, costato un occhio della testa.  Per il resto, calma piatta o quasi.

I motivi di una tale situazione che, attenzione, non prefigura l’immobilismo degli esecutivi che si sono succeduti a Palazzo Gilardoni, sono molteplici. Vanno dal ginepraio normativo per gli appalti alla mancanza di risorse fino alla spregiudicatezza di alcuni operatori privati. Ma queste, da sole, non giustificano affatto l’imperizia, che risulta essere invece tra le prime cause degli insuccessi fin qui inanellati. Imperizia di una classe politica pasticciona, che negli anni non ha saputo e non sa destreggiarsi tra i meandri della burocrazia e fatica a capire chi, tra gli operatori che si offrono promettendo il costo zero, ciurli nel manico. Così, a volte, la politica è costretta a vendere fumo.
Se non avesse proposto fumo, Busto Arsizio avrebbe da tempo un palaghiaccio funzionante, struttura originaria finanziata dalla Provincia, e non il suo scheletro destinato alla demolizione, attorno al quale, per il suo recupero, sono fiorite ipotesi e progetti mirabolanti. Monumento all’Italia delle incompiute e dei casciaball.

In verità tutte le giunte si sono date da fare, per questa e per altre situazioni in città. Un gran lavorio, però improduttivo. Da quanti anni si parla del recupero dell’ex calzaturificio Borri e dell’area delle Nord, per citare due clamorosi esempi? Che dire poi del Conventino e delle vecchie carceri? Tante chiacchiere, qualche promessa pre o post elettorale,  e morta lì.  Per tornare a parlarne subito dopo, sempre e soltanto in chiave promozionale, dentro un sistema consolidato: quello degli annunci senza che si abbia la relativa copertura finanziara.

Siccome le colpe sono sempre di tutti, non sono mai di nessuno. Ma ci sarà pure un politico a Busto Arsizio che, prima o poi, si assuma le proprie responsabilità ed esca allo scoperto: le attenuanti sono tante ma abbiamo fallito. Un fallimento reiterato da almeno due decenni. Per il futuro non mettiamo limiti: a questo mondo esistono anche i miracoli. Ai quali  bisogna però credere senza sicumere, con grande umiltà, imparando che nel pubblico si cammina sempre e soltanto sulle sabbie mobili. E quando si mette un piede in fallo, si sa già come va a finire.

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