VISTO & RIVISTO Quando l’arte diventa un passaporto per la libertà

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di Andrea Minchella

VISTO

NUREYEV – THE WHITE CROW, di Ralph Fiennes (The White Crow, Francia- Regno Unito, 2018, 127 min.).

Un film sulla libertà, prima che una, a tratti appiattita, biografia sul famoso ballerino russo. Ralph Finnes decide di rendere omaggio ad un simbolo universale dell’emancipazione dall’autoritarismo e dalla privazione delle libertà fondamentali. In “Nureyev” assistiamo alla nascita e alla consacrazione di un mito, che trasborda dal mondo artistico per investire e riempire l’immaginazione di ogni essere umano che decide di combattere con ogni mezzo i soprusi e le limitazioni che una dittatura può obbligare a vivere.

Il film racconta i primi anni di vita del ballerino che si svolgono nella povertà più rigida, come il clima che caratterizza quelle terre lontane in cui lo Stato paga le lezioni di ballo del giovane Rudolph, ma in cambio chiede una tacita e servile fedeltà. Ma uno spirito ribelle come quello di Nureyev difficilmente può essere limitato da una serie di retorici e ripetitivi dogmi che erano alla base della vita quotidiana nella Russia degli anni cinquanta.

Nureyev entra sin da subito a far parte del prestigioso balletto del Teatro Kirov. Grazie anche alle lezioni del pacato ma profondo Pushkin, interpretato da un troppo ingessato Finnes, il giovane ballerino riuscirà ben presto a trovare un modo particolare ed originale di interpretare le coreografie che si trova a rappresentare. Sollecitato dal maestro a superare la tecnica e la forma, Rudolph, a poco a poco, sviluppa una capacità unica di rappresentare uno stato d’animo in stretta relazione con i passi, ai limiti della forza di gravità, che riesce a mettere in scena dopo snervanti e infinite sessioni di esercizi. E così quando nel 1961 il balletto del Teatro di Kirov arriva in Francia, a Parigi, per una tournée, Nureyev viene subito rapito dal vento di libertà e leggerezza che la capitale francese emana da ogni vicolo. Dunque il giovane ballerino capisce che il suo mondo non è la Russia, né la sua grigia e fredda concezione di arte. Gli ultimi venti minuti del film sono la vera cifra di un racconto inaspettato di libertà, di come un senso di cambiamento difficilmente può essere sottovalutato. Il carattere e la capacità di Nureyev trasformano un desiderio semplice e vitale nella più grande personalità che l’arte del balletto moderno abbia conosciuto.

Fiennes prova, ma non riesce completamente, a raccontare la storia di un uomo e del suo desiderio di condividere la sua arte con il mondo intero. Seppur tratto dall’interessante “Nureyev: the life”, il film spesso cede il passo ad una banale ricostruzione quasi televisiva di una vita, invece, molto complessa e certamente più iconografica.

Un’occasione persa per un artista, Ralph Fiennes, che ha incontrato, da attore, i più grandi registi del mondo, ma che, come regista, deve ancora percorrere una strada lunga e tortuosa.

RIVISTO

BILLY ELLIOT, di Stephen Daldry (Regno Unito- Francia 2000, 110 min.).

Dai creatori di “Quattro matrimoni e un funerale” e “Notting Hill”, nel duemila, arriva un piccolo gioiello sulla libertà e sull’emancipazione. Tratto dalla vera storia del ballerino Philip Mosley, la pellicola, ambientata nell’Inghilterra della metà degli anni ottanta, narra le vicende del giovane Billy che, iniziato dal padre, minatore e vedovo, alla violenta e “maschile” boxe, scoprirà invece di avere una passione sviscerale per la “femminile” danza, per il balletto e per la musica classica. Riuscirà, di nascosto, a migliorare le sue capacità tecniche, fino ad arrivare alla possibilità di un provino per la prestigiosa Royal Ballet School di Londra.

Un film magico e poetico, in cui il regista, al suo primo lungometraggio, riesce a dare un equilibrio ed una lucentezza che, ancora oggi, rendono questa pellicola affascinante e toccante, come se non fosse stata realizzata quasi vent’anni fa.

Raccontare di un sogno o di un desiderio, in effetti, è un tema ricorrente nel cinema; ma la capacità di raccontarlo in un particolare modo, teatrale e realistico allo stesso tempo, è un’arte che pochi registi possiedono, e che Daldry ha saputo magistralmente esprimere in questo suo capolavoro.

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