VISTO&RIVISTO Delta, un grande potenziale a tratti sprecato

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di Andrea Minchella

VISTO

DELTA, di Michele Vannucci (Italia 2022, 105 min.).

Un po’ “thriller”, un po’ giallo, un po’ drammatico, “Delta” è un’opera originale e molto interessante se pensiamo sia stata realizzata in Italia. Matteo Rovere, con la sua Groenlandia, si conferma un produttore, oltre ad essere un bravissimo regista, capace di dare vita a progetti innovativi e intriganti. Il panorama delle produzioni cinematografiche italiane è spesso impantanato tra i grandi registi che risucchiano gran parte delle forze per la realizzazione dei loro film, e la prepotente e bulimica produzione di commedie leggere e stucchevoli che intasano regolarmente gli studi, prima, e le sale, dopo, abbassando di gran lunga la qualità delle opere prodotte.

Progetti come questo, dunque, seppur con diversi limiti ed alcune sbavature stilistiche, sono importanti sia perché danno la possibilità a giovani autori di cimentarsi con produzioni impegnative e complesse, sia per la diversificazione, necessaria e preziosa, che possono apportare ad una proposta cinematografica sempre più omogenea e popolata per lo più da “kolossal” americani o da “commediole” italiane più utili a far lavorare tanti artisti senza un vero impiego più tosto che a intrattenere il pubblico italiano.

Michele Vannucci, dopo l’interessantissimo “Il Grande Sogno”, sempre con Alessandro Borghi, realizza un complesso racconto in cui i personaggi si muovono in una sorta di “Far West” italiano tra fughe, vendette, pesci morti, melodie suonate da una fisarmonica e flussi d’acqua pericolosi e custodi di segreti.

“Delta” ci racconta in maniera cruda e asciutta della numerosa popolazione che abita nei pressi del Po e del suo delta in una zona geografica quasi sospesa tra la nebbia bianca e l’acqua grigia, in cui il dialetto emiliano si fonda con quello veneto e con il rumeno. La pesca, la salvaguardia del territorio e il controllo del fiume diventano tre diversi modi di vivere questa terra che per anni ha dato da vivere a migliaia di persone. Quando dei bracconieri, provenienti dalla Romania, incominciano ad infestare il fiume con la pesca illegale e disumana condotta con l’uso dell’elettricità, la comunità che vive in quelle zone comincia a ribellarsi perché svantaggiata se continua a pescare seguendo le rigide regole del territorio. Razzismo, intolleranza, povertà e pseudo patriottismo daranno vita ad una guerra tra le due popolazioni che culmineranno con l’omicidio di un italiano e la caccia estrema, in un ambiente selvaggio quasi ancestrale molto simile ad uno scenario post nucleare, all’assassino.

Alessandro Borghi, che con questo film chiude idealmente una sorta di trilogia “wild nature” (dopo “The Hanging Sun”, da un libro di Nesbo, e“Le Otto Montagne”, dal libro di Cognetti) veste i panni del cattivo, di colui che è disposto a qualsiasi cosa pur di proteggere la sua famiglia. Anche se l’apporto di Borghi è come sempre notevole, il risultato non è molto soddisfacente perché, e questo è uno dei difetti del film, il suo personaggio non è tratteggiato in maniera chiara e profonda. La descrizione del carattere e dell’anima di Elia risulta confusa e troppo didascalica. Le azioni che compie Elia prima della fuga e durante l’inseguimento sono a tratti incomprensibili e poco giustificati dalla narrazione dell’intera vicenda.

Luigi Lo Cascio, invece, interpreta un personaggio ben connotato e tridimensionalmente elaborato da Vannucci. Osso, che fa il volontario a tutela della flora e della fauna nei pressi del delta del Po, è un uomo calmo e molto riflessivo, pronto a calmare gli animi esacerbati dei pescatori che si sentono beffati dai bracconieri. È anche, però, capace di trasformarsi in un temibile e cattivissimo vendicatore se un suo affetto stretto viene colpito. La caccia che Osso fa nei confronti di Elia è perfettamente scritta, montata e filmata. Nulla che possa invidiare i bei film d’azione confezionati oltre oceano.

Dunque “Delta” va visto perché registi come Vannucci, che osano magari facendo qualche errore, hanno bisogno di un pubblico numeroso che possa rafforzare la loro credibilità nel difficile mondo delle produzioni cinematografiche.

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RIVISTO

ROBERTO SUCCO, di Cédric Kahn (Francia- Svizzera 2001, 124 min.).

Un potente e amaro film su un caso di cronaca poco conosciuto ma molto cruento. Una caccia al “serial killer” Roberto Succo che scappò da un manicomio criminale per seminare omicidi, stupro e violenze in tutta la Francia.

Un racconto angusto e quasi poetico di uno dei fatti più efferati della cronaca Italiana e francese degli ultimi anni. Da rivedere.

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