VISTO&RIVISTO Il dono della luccicanza non fa più paura

minchella doctor sleep cinema

di Andrea Minchella

VISTO

DOCTOR SLEEP, di Mike Flanagan (Stati Uniti 2019, 153 min.).

Maneggiare un mito è sempre pericoloso. Rimettere mano al capolavoro per eccellenza di King, prima, e di Kubrick, poi, è un’operazione quasi impossibile da realizzare. Anche se questo progetto nasce dal romanzo del 2013 “Doctor Sleep” dello stesso King, le aspettative di quelli che hanno conosciuto i risvolti inquietanti della follia umana, guardando e riguardando “Shining”, sono state quasi totalmente disattese. Il motivo principale risiede nel fatto che in questo secondo viaggio all’interno della “luccicanza”, dell’ormai cresciuto Daniel Torrance, si decide di mostrare al pubblico tutto quello che invece nel film del 1980, in cui Jack Nicholson fissa una delle migliori “performance” della storia del cinema moderno, era stato celato dietro un’interpretazione e una costruzione scenica ormai diventate la base stilistica e grammaticale per chi voglia cimentarsi con l’arte cinematografica.

In “Shining” assistiamo ad una macabra narrativa che descrive in maniera puntuale e lineare la follia umana e i suoi contorti sviluppi all’interno del contesto famigliare. Qui, invece, Flanagan, che segue non in maniera lineare il romanzo di Stephen King, decide di mostrare anziché celare. Decide di aggiungere anziché sottrarre. E in queste scelte risiede, probabilmente, il peccato originale: tutta la narrazione del gruppo di “vampiri-hippies”, che dà la caccia alle giovane vite in grado, se spezzate, di rilasciare “vapore vitale”, toglie all’intera vicenda ciò che Kubrick, nel suo capolavoro, aveva magistralmente risaltato con la sua tecnica di soggettive asfissianti in cui si vedeva soltanto la schiena del piccolo Daniel che pedalava negli interminabili corridoi dell’Overlook Hotel: la tensione e l’angoscia che ne scaturivano, infatti,  inchiodavano alla sedia anche lo spettatore più scettico e disattento.

In questo “Doctor Sleep” si vuole indagare sulla vita dell’adulto Daniel che, da piccolo, aveva assistito al massacro del Overlook Hotel per mano del padre Jack, sempre presente nella mente del fragile Daniel. Un bravo Ewan McGregor non riesce a fornire alla storia elementi che facciano, davvero, angosciare il pubblico. L’errore principale, probabilmente, va imputato al gigante Stephen King che, sembra, non voglia accettare il fatto che il tempo passa inesorabile e che la paura di essere dimenticati affligge ogni essere umano. Ma bisogna fare in modo che certe opere d’arte, seppur nostre, vengano lasciate intatte e salve da qualsiasi operazione di contestualizzazione o rielaborazione che ne possano compromettere la primordiale magia che hanno indelebilmente emanato nel mondo.

Un film che va visto, comunque, perché opera di uno dei più grandi, tuttora, padri di storie universali come “Misery” “Stand by Me” o, appunto, “Shining”.

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RIVISTO

THE SIXTH SENSE – IL SESTO SENSO, di M. Night Shyamalan (The Sixth Sense, Stati Uniti 1999, 107 min.).

Questo è un altro passaggio storico per l’intera cinematografia mondiale. Un giovane e sconosciuto regista indiano naturalizzato negli statunitense nel 1999 realizza un’opera che ancora oggi riesce a spaventare e angosciare come vent’anni fa. Un ritrovato Bruce Willis ed un profondo giovane Haley Joel Osment apportano ad una storia già perfetta una recitazione che riesce a fissare nelle menti del pubblico la sottile e inquietante paura della morte.

Sembra di vivere in un sogno in cui anche i movimenti di un braccio risultano impossibili. Assistiamo ad un viaggio in cui la nostra stessa respirazione rallenta inesorabilmente per non disturbare una narrazione intima e quasi silenziosa. Una tecnica scenica e stilistica che diventano colonne portanti di un film che non invecchia mai. Una sceneggiatura che non spreca nemmeno una parola di troppo.

Insomma “The Sixth Sense” è per Shyamalan il film “del non ritorno”. Dopo questo perfetto viaggio all’interno dell’oscuro e articolato mondo della morte, il regista indiano non è riuscito più a raggiungere i livelli artistici di questa sua ideale opera prima (in realtà è il suo terzo film). Anche se ci ha regalato negli anni film ben costruiti ed egregiamente raccontati, quel cupo viaggio nel mondo degli spiriti rimane uno dei più riusciti racconti del cinema moderno.

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