VISTO&RIVISTO Il fascino perverso del crimine

sicario sollima film

di Andrea Minchella

VISTO

SICARIO, di Stefano Sollima, (Sicario: Day of the Soldado, USA 2018, 122 min.).

Stefano Sollima sembra avere un fascino perverso verso il crimine: che sia storia di crimine italiano, di Roma o di Napoli, o di crimine straniero sembra non fare alcuna differenza. E così, dopo aver consolidato la sua struttura con le serie,”Romanzo Criminale”e “Gomorra”, e con i profondi e crudi”A.C.A.B.-All Cops Are Bastards”e”Suburra”, Stefano Sollima con una compostezza quasi religiosa e una discrezione esemplare sbarca ad Hollywood firmando un difficile sequel con buoni e sorprendenti risultati. Rendendo più chiara e fluida la vicenda rispetto al primo Sicario, diretto dal prodigio Villeneuve, il regista nostrano confeziona un thriller d’azione che nulla ha da invidiare ai capolavori di Tony Scott, di Antoine Fuqua o Peter Berg.

Anche in questo nuovo capitolo ritroviamo Benicio Del Toro e Josh Brolin che interpretano ruoli forse più indefiniti del primo episodio, ma che ben si adattano ad una storia originale, ben scritta e meglio rappresentata sullo schermo. Anche se il tocco personale di Sollima lascia tracce poco riconoscibili, certamente il film è un progetto enorme che viene portato a termine con un’alta professionalità ed una capacità esplicativa che ben si accosta a questo genere di pellicola. L’apporto più importante che probabilmente il regista ha potuto dare alla narrazione è certamente la possibilità di raccontare il fenomeno della dilagante migrazione di messicani verso gli Stati Uniti con un occhio ben allenato grazie all’altrettanto dilagante fenomeno di migranti del Mediterraneo che tanto cercano di raggiungere la loro America, ovvero la nostra Italia.

Perfetta e avvolgente la marcia psichedelica che accompagna le scene più adrenaliniche ed il finale che spiazza e che fa desiderare con qualche speranza un nuovo capitolo di questa recente saga.

 

RIVISTO

TRAFFIC, di Steven Soderbergh, (USA 2000, 147 min).

Steven Soderbergh e Quentin Tarantino sono probabilmente i due registi che negli ultimi trent’anni sono riusciti a rinnovare concoraggio la grammatica del cinema, ritagliandosi così un posto d’onore nell’olimpo dei grandi.

Soderbergh, sicuramente, con la sua continua ricerca di linguaggi e con la sua quasi schizofrenica poliedricità ha contribuito ad un ulteriore passo avanti del racconto cinematografico. Quando nel 2000 firma un sorprendente”Traffic”, anche Hollywood decide di consacrare questo gigante della macchina da presa con quattro statuette.

Traffic ha tutti gli ingredienti del film d’azione ma con anche componenti thriller e sentimentali. Raccontato in una maniera corale quasi alla Robert Altman, il film fa emergere il sottile filo conduttore che lega i cartelli più spietati e violenti del Messico, con le più insospettabili e candide famiglie dell’America che conta. Mai banale o scontato, Traffic ben imprime sulla pellicola i caratteri che anche successivamente al film vedremo spesso partecipare alle storie più cruenti e realistiche del cinema americano post 11 Settembre.

Anche se compie quasi 19 anni di vita, questo film riesce a dare nuovi spunti ogni volta che viene guardato.

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