VISTO&RIVISTO Croce e delizia, gli ingredienti di una vita intera

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di Andrea Minchella

VISTO

CROCE E DELIZIA di Simone Godano (Italia 2019, 100 min.).

Fino a quando ognuno di noi indossa la maschera che ci permette di vivere senza problemi, va tutto bene. Non appena qualcuno della comunità in cui viviamo, soprattutto se si tratta della nostra famiglia, decide di togliersi la maschera, ecco che avviene il corto circuito che, nei casi più eclatanti, può avere risvolti anche devastanti. Questo lo spunto del bel film di Simone Godano, qui al suo secondo cortometraggio. Godano, infatti, avvalendosi della collaborazione del bravo Matteo Rovere, qui nei panni del produttore, riesce a confezionare un racconto equilibrato e grammaticalmente mai scontato.

Seppur con la presenza di caratteri a volte troppo esagerati, come Gassman o lo stesso Bentivoglio, la pellicola scorre per più di un’ora e mezza senza annoiare né stancare: la storia, anche se in certe fasi esageratamente didascalica, nasconde un’interessante analisi sul difficile e sempre attuale tema del rapporto dei figli con i padri. Un’intensa Jasmine Trinca, infatti, perfettamente ci racconta di come una figlia cerchi ossessivamente l’attenzione del padre, anche quando, ormai diventata grande, dovrebbe percorrere la strada della vita in totale autonomia.

Il legame con il padre è uno dei presupposti basilari su cui si fonda la nostra persona. Tutte le nostre paure e le nostre fobie possono scaturire proprio dall’attenzione, o dalla mancanza di essa, che nostro padre ci riserva durante i nostri primi anni di età. E quando diventiamo grandi, non saremo mai grandi finché non faremo i conti con una figura complessa e spesso ingombrante come quella di un padre. Attorno a questa importante riflessione, Godano costruisce una piacevole commedia anche grazie alla bravura di Gassman, Bentivoglio, Schicchitano, Trinca, Savino, e di una ritrovata Anna Galiena. Una commedia dal sapore francese che nulla ha da invidiare alle migliori performances d’oltralpe.

RIVISTO

TRANSAMERICA di Duncan Tucker (Stati Uniti 2005, 100 min.).

Un piccolo capolavoro che solo gli americani possono confezionare. Quando si parla di road-movie, gli Stati Uniti primeggiano anche grazie alla maestosità dei loro paesaggi in cui è più facile inscenare lunghi viaggi geografici ma anche spirituali. Se la strada diventa l’anima, allora il viaggio sarà lungo, tortuoso e, a volte, educativo.

Qui troviamo Bree, interpretata da una sorprendente Felicity Huffman giustamente premiata con un Golden Globe, che nell’attesa di sottoporsi all’intervento che le cambierà il sesso, scopre di essere padre di un ragazzo recluso in un carcere minorile. Sarà obbligato dall’assistente sociale che lo segue ad andare a prendere suo figlio, ignaro dell’esistenza di un padre vero, per portarlo dal suo squallido patrigno, che vive in una lontana e sperduta periferia americana. Ne scaturirà un intenso racconto ed una puntuale riflessione sul difficile rapporto tra essere umani, specie se comunque legati dal sangue: tuo padre non te lo scegli né lui sceglie te. Ma abbiamo una vita a disposizione, o magari un viaggio da una costa all’altra, per imparare a conoscerlo, a comprenderlo e, magari, a perdonarlo.

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