Vent’anni di euro, Italia in sofferenza

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di Antonio Laurenzano
Era il 1 gennaio 1999 quando in undici Paesi dell’Unione europea, sulla base dei parametri fissati dal Trattato di Maastricht del 1992, entrò ufficialmente in vigore l’euro come unità di conto virtuale per il settore bancario. Tre anni dopo, con il festoso changeover, arrivò nelle nostre tasche, salutato come il simbolo della integrazione monetaria del Vecchio Continente, preludio alla costruzione politica della comune casa europea. Oggi è la moneta ufficiale di 340 milioni di cittadini europei in 19 Paesi ed è la seconda valuta più importante a livello internazionale.
laurenzano euro europaSono stati vent’anni non sempre facili, una corsa ad ostacoli iniziata all’insegna della diffidenza dei mercati e dello scetticismo di alcuni economisti e culminata con la crisi finanziaria dei debiti sovrani europei del 2011-2012. Fu messo a nudo la sua criticità: essere una moneta senza un governo, senza uno Stato, senza una banca, prestatrice di ultima istanza, capace di garantire un intervento in caso di difficoltà. E’ l’anomalia di un’Europa unita sotto il segno della moneta, con la Banca centrale europea, unica istituzione federale, priva del sostegno di una politica economica comune e di un coordinamento delle politiche fiscali e previdenziali. E senza una reale unione economica, ogni Paese risponde da solo dei debiti del suo Governo, delle sue banche, delle sue imprese con la conseguenza che l’assenza di misure protettive (al netto del “quantitative easing” della Bce) provoca l’aumento dei tassi d’interesse, la rarefazione del credito, l’arresto della crescita.
Paesi forti sempre più forti, Paesi deboli sempre più deboli in un frastagliato quadro economico: le singole economie nazionali troppo diverse fra loro, i cicli economici troppo asimmetrici e il fattore di mobilità molto basso. In tale situazione la moneta unica avvantaggia i Paesi entrati nell’Eurozona in condizioni ottimali (debiti pubblici moderati, migliore organizzazione della produzione e del lavoro, amministrazione pubblica e giustizia più efficienti) e danneggia quei Paesi con finanza pubblica allegra e in forte ritardo sulle riforme.
La clamorosa conferma è venuta da uno studio del Centro di politica per l’Europa (Cep) presentato in quest giorni a Berlino, secondo il quale, dall’introduzione dell’euro, in Italia si sommano perdite complessive per 4.325 miliardi euro, e cioè 73.605 euro pro capite! Con noi, la Francia con perdite per 3.591 miliardi, pari a 55.996 euro pro capite. La prima della classe, ovviamente, è la Germania: dal 1999 al 2017, avrebbe guadagnato 1.893 miliardi di euro, circa 23.116 euro per abitante.
L’Italia, senza più svalutazioni monetarie, con riforme strutturali annunciate e mai realizzate, non ha trovato alcuna possibilità di diventare competitiva nell’Eurozona a causa anche dell’alto cambio lira-euro imposto a Prodi e a Ciampi dalla Germania a difesa delle proprie esportazioni. Un perverso sistema di cambi fissi che impone ai Paesi in deficit l’onere dell’aggiustamento dei propri conti pubblici, a danno della crescita, e non chiede alcun impegno di solidarietà ai Paesi in surplus commerciale (Germania). Nel 2002 il nostro reddito pro capite era del 20% superiore alla media dell’area euro, oggi è sceso sensibilmente sotto la media, con aumento della disoccupazione.
Euro, opera incompiuta. E’ il motore di crescita dell’economia europea, ma per funzionare al meglio deve trovare una governance economica e finanziaria, un’unione bancaria, una comune politica fiscale e riforme condivise.  Un passaggio obbligato per mettere al riparo la moneta unica dagli atti di pirateria dei mercati e l’Europa dai contrasti economici e quindi dai rischi per la coesione sociale e la stessa democrazia. Ma soprattutto per azzerare la follia economica di chi pensa di difendere l’interesse nazionale tornando alla lira, ignorandone le drammatiche conseguenze per investitori e risparmiatori, e cioè per la sovranità finanziaria del Paese!
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