VISTO&RIVISTO Un padre inerme di fronte alla tragedia più grande

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di Andrea Minchella

VISTO

BEAUTIFUL BOY, di Felix Van Groeningen (Stati Uniti 2018, 120 min.).

È sempre molto rischioso raccontare certe storie senza correre il rischio di cadere in cliché o di usare un linguaggio retorico e banale. Soprattutto se a farlo è un regista giovane. In questo caso, invece, il quarantaduenne cineasta belga, al suo primo grande progetto in terra americana, riesce a costruire un delicato e articolato film, che tratta un tema tanto difficile quanto attuale come quello delle tossicodipendenze. Una piaga, questa, che sembra tratteggiare ed occupare ogni epoca, recente e meno recente, che essere umano abbia vissuto. Quando la percezione del mondo sembra registrare una diminuzione del fenomeno, ecco che le tabelle e i numeri dei morti riportano in maniera tragica e realistica l’attenzione su un problema che sembra non diminuire ma, anzi, muta e si rafforza quando, come in quest’epoca, la società sembra contagiata da un iper individualismo e da una assordante incomunicabilità.

Questo “Beautiful Boy” prende spunto da una delle tante storie vere che sono state attraversate dalla droga, e racconta in maniera cristallina e seguendo un flusso cronologico originale, che rende la visione del film interessante e mai scontata, la difficoltà di un padre di affrontare un problema così grande e così disarmante. Steve Carell, che aggiunge alla sua vetrina di caratteri un nuovo, intenso e convincente ruolo alle prese con una tragedia, sembra brancolare nel buio: egli, infatti, è accecato dall’amore verso una persona che, ormai, risulta essere solo una proiezione di ciò che era prima che incontrasse la meta anfetamina. Ciò genera sensi di colpa e rancori che congelano ogni tentativo di strappare il ragazzo da una fine fondamentalmente già scritta.

Il film, basato sui libri dei personaggi reali David e Nic Sheff, ripercorre momenti apparentemente poco rilevanti della giovane e breve vita di Nic, interpretato da un bravissimo ed intenso Timothèe Chalamet, cercando di fissare il “momento”, quell’istante, cioè, in cui la vita di un ragazzo prende una direzione completamente diversa dal percorso stabilito, già deciso dal destino e dalla natura. Ovviamente questo preciso attimo non viene individuato con chiarezza: una tragedia del genere è sempre il risultato di una diabolica alchimia, una somma di eventi che generano nel ragazzo una gigantesca ed indecifrabile mancanza, che solo con emozioni forti può essere, apparentemente, riempita.

Da segnalare una colonna sonora perfettamente cucita addosso alle scene più emozionanti: sembra, in certi momenti, che ci sia una sorta di “respirazione musicale”, un ritmo vitale con musiche ben costruite che accompagna lo spettatore dentro le anime tristi dei protagonisti.

Brad Pitt, insieme alla sempre più florida Amazon Studios, produce un bel film, dunque, che torna a farci riflettere su una delle maggiori cause di morte tra i giovani, e non solo, nel mondo.

 

RIVISTO

THE ROAD, di John Hillcoat (Stati Uniti 2009, 111 min.).

Un pugno nello stomaco. Ma ogni tanto il cinema deve avere anche la funzione di raccontare, scendendo in profondità, i rapporti tra gli uomini. E quello che lega un figlio al padre, come ci racconta il bravo Massimo Recalcati, è uno di quei legami che, nel bene o nel male, influiscono totalmente sulla nostra persona, sulla nostra vita e sulle nostre scelte.

Hillcoat riesce in maniera magistrale ad arricchire un già preziosissimo racconto, del Pulitzer Corman McCarthy, che si sviluppa attorno al viaggio che un padre, con suo figlio, intraprende in un mondo post apocalittico per cercare una via di salvezza. Come spesso ci spiega lo psicoterapeuta Recalcati, citando proprio questo romanzo, il gigantesco Mortensen interpreta un padre “esemplare”: un padre, cioè, che non educa la prole con dogmi o con la sola presenza, ma lo fa dando l’esempio, creando così un legame, vivo e arricchente per entrambi, tra sé e il proprio figlio. Assistiamo, così, ad una protezione attiva, che il padre usa per “avvolgere” il proprio figlio; una protezione di cui, probabilmente, un figlio ha sempre bisogno.

Un film che va riscoperto perché parla di noi e dei nostri più intimi rapporti familiari che sono, sempre e comunque, alla base della nostra esistenza.

 

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